Trump e il caos globale quanto può reggere?

Quando gli imprenditori bresciani hanno avuto a portata di mano gli economisti della Summer school di Iseo, avevano una sola domanda da porre, seppur articolata in due interrogativi: cosa ha in testa Trump? Chi sta dietro di lui? Domanda che si ripropone da sei mesi a questa parte, senza una risposta che non sia dubitativa. Calcolato o casuale, sorprendente o improvvisato, imprevedibile o inaffidabile, geniale o folle: ha sempre una prospettiva bipolare l’escalation delle valutazioni di fronte alle esternazioni del tycoon incessantemente scatenato sui social.
Lascia sbigottiti per tono e temi. Si va dalla guerra commerciale con il mondo intero ai licenziamenti dei giudici, dalle trattative su Gaza alle bombe su Teheran, dai droni sull’Ucraina al dialogo con l’inossidabile Putin, dai tagli alle università all’immigrazione dal Messico, o al Fentanil che pare venga solo dal Canada, dalla legge che sfonderà il già cospicuo debito pubblico degli States alla bega con Musk, dall’Ue che si comporta da cattiva alla Nato fatta di scrocconi, e tutti devono accodarsi per «kiss my ass».
Tiene nascosta la lista dei «clienti» del perverso Epstein, ma vuol dire la sua anche sullo zucchero nella Coca Cola. Forse ha ragione il regista Oliver Stone: il cinema di Trump ha come fulcro portante il caos. Incontenibile come l’energia degli dei greci. O forse ha ragione chi sostiene che dietro c’è un disegno preciso, ridisegnare le aree di influenza sull’intero globo terracqueo. Tutto questo non evita una domanda di fondo: fino a quando saremo in grado di reggere queste continue turbolenze? Fino a quando fibrillazioni consecutive non spingeranno il mondo sull’orlo di una crisi di nervi?

La tecnica trumpiana è quella del caos come metodo. Ogni giorno un risultato storico da sbandierare, un nemico da attaccare, un interlocutore da insultare, un alleato da ridimensionare. Ogni giorno una dichiarazione che domani sarà contraddetta. Quasi tutto senza una logica comprensibile. Quasi tutto, perché alcuni punti fermi sono facilmente identificabili: non si discute sugli affari suoi. Fa contratti bilionari negli Emirati Arabi, lucra alla grande sulle oscillazioni delle Borse provocate dalle sue stesse esternazioni, guadagna sulle deregulation per le Big Tech e per le criptovalute. Sul fronte degli affari, soprattutto i suoi, non ha tentennamenti.
L’altro orizzonte fisso riguarda lo smantellamento ossessivo di ogni forma di governo del sistema mondiale, di ogni organizzazione multilaterale. Lo aveva detto, e si comporta di conseguenza: niente intese, se non con trattative personali dirette, perché il resto è solo perdita di tempo e di denaro. Trump forse non fa altro che rendere evidente ciò che nei fatti già accade da tempo: le superpotenze usano gli organismi internazionali come fa loro più comodo, fra veti, minacce, imposizioni e servilismi.
Ha però cambiato la chimica del potere: muscoli e grinta accanto a slogan e distintivo. Crea vuoti che altri poteri andranno a riempire. Chi e come? La sua visione è individuale, non inclusiva. Niente trattative alla pari, niente alleanze e amicizie. La vicenda dei dazi lo dimostra chiaramente. Se si considera la Cina l’avversario naturale, perché imporre i dazi più pesanti proprio a Giappone e Corea del Sud, finora alleati strategici in Estremo Oriente? E come si può pensare di arginare la Russia senza un’intesa con l’Europa che non sia solo acquisto di armi?
La spara grossa e poi si ritira: alcuni analisti sostengono che Trump sia un «taco», come nello slang americano si definisce uno che fa il bullo ma al dunque molla. A fine mese lo sapremo, almeno per quel che riguarda i dazi per noi europei. Sta di fatto che ora domina la scena mondiale immettendo fibrillazioni al limite della tachicardia parossistica. Come reagire? La Cina fa la misteriosa.

La Russia snobba: «Zio Sam spara bolle di sapone». L’Europa fa buon viso e si divide fra piacioni e finti rigorosi. Intanto gli Stati Uniti si isolano e il resto del mondo potrebbe trovare nuovi equilibri, diversi da quelli che immagina Trump. Dai Brics sono già arrivati segnali. Chissà se l’Europa avrà un sussulto. Il mondo è sull’orlo d’una crisi di nervi: quel che finora era tema di geopolitica sta diventando argomento d’un campo di studi interdisciplinare finora poco popolare, la psicologia politica. Si tratta di vedere chi finirà sul lettino dello psicanalista.
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