L’economia europea faccia sistema contro il metodo Trump

Nelle scuole di management si insegna da sempre che una delle sfide più impegnative per chi deve gestire le imprese è collegata all’imprevedibilità dei mercati e al loro dinamismo. Il concetto è chiaro anche se, nel tempo, ha potuto essere declinato in modo, più o meno radicale, soprattutto in relazione a fenomeni legati a guerre, pandemie o al manifestarsi di azioni speculative in grado di influenzare in modo dirompente il fronte finanziario. La nuova Amministrazione Trump farà sì che in futuro le accademie e i manuali manageriali potranno declinare i concetti di instabilità e di incertezza raccontando ciò che in questi mesi il presidente americano ha generato con le sue decisioni sul fronte dei dazi e, soprattutto, sull’estrema estemporaneità e variabilità delle decisioni stesse.
L’ultimo diktat Usa ha gettato nel panico le economie europee e messo in difficoltà il sistema di governance della Ue, nel primo caso dovendo immaginare effetti sul sistema economico e sociale continentale senza avere oggettivi elementi sui quali potere valutare le ricadute di dazi così impegnativi. Nel secondo caso mettendo il governo europeo davanti a un trivio le cui strade, oltre che difficili da percorrere, rischiano di minare alla base l’indispensabile bisogno di coesione che deve sostenere, a livello politico, scelte così impegnative. .
Partiamo da questo secondo aspetto per poi provare a riflettere su ciò che la guerra commerciale potrebbe generare nel medio periodo. Le tre strade che possono essere percorse sono sinteticamente rappresentabili parlando di un sentiero legato a risposte altrettanto importanti sul fronte dei dazi da imporre alle merci e ai servizi Usa. Una seconda (che vede il nostro presidente del Consiglio in prima linea) orientata a cercare soluzioni mediate che vedano le trattative sui dazi associate a quelle su altri temi (un esempio è quello legato al «costo» ribaltato sui Paesi europei della difesa del territorio ucraino). Una terza che si orienta a lasciare alla «mano invisibile» dei mercati la soluzione (in questo caso scommettendo sulle ricadute interne americane di una politica pesantemente inflattiva e, nel breve periodo, capace di ridurre consumi e servizi per i cittadini).
A 30% tariff on EU exports would hurt businesses, consumers and patients on both sides of the Atlantic.
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) July 12, 2025
We will continue working towards an agreement by August 1.
At the same time, we are ready to safeguard EU interests on the basis of proportionate countermeasures.
Inutile negare che le alternative sopra citate rappresentino, in modo abbastanza evidente, il livello di spaccatura che si registra ascoltando le diverse cancellerie europee. La mancanza di una politica chiara alimenta, a sua volta, l’incertezza e, conseguentemente, la capacità di pesare gli effetti di questa situazione e le leve da agir per farvi fronte. Questo vale per tutti i Paesi della Ue e, quindi, anche per il nostro che vede, per un verso adombrarsi ipotesi di grande drammaticità (qualcuno si spinge a tradurre la decisione di Trump con un calo della nostra capacità di generare valore pari o superiore ai 37 miliardi di euro – quasi due manovre correttive di finanza pubblica –, altri la associano a consistenti cadute nell’occupazione con previsioni di natura recessiva).
Come in questi casi spesso capita, i catastrofismi non aiutano a mantenere la giusta concentrazione e fermezza di pensiero (come appunto recitano i grandi guru del management) per affrontare una situazione complessa come l’attuale. Provando a tenere i nervi saldi iniziamo con il sottolineare che l’export italiano verso gli Usa pesa circa il 10% del totale dell’export del nostro Paese il che, ovviamente, si può tradurre in ipotetiche perdite inferiori alla decina di miliardi secondo le recenti ricerche di vari centri studi qualificati (i 37,5 miliardi spesso riportati dai media in questi giorni si riferiscono ad un calcolo cumulato al 2028). L’effetto sarebbe, quindi, contenuto sul nostro Pil, purtroppo però legato ad un indice che da anni mostra la difficoltà di crescita italiana e che, già prima delle decisioni di Trump, segnava un pessimistico +0,9% per l’anno in corso.

Il dato così espresso, deve però tenere conto del fatto che il calo di esportazioni colpirebbe anche mercati ai quali noi forniamo semilavorati generando un perverso effetto moltiplicatore negativo e va associato ad un altro fenomeno importante ossia alla svalutazione della moneta statunitense nei confronti dell’euro (e delle altre valute) che, mediamente, dall’inizio dell’anno è di circa il 13%. Situazione difficile che sembra, però, generare effetti nel ridurre le capacità di risposta affidabili a scelte «razionali» e «studiate». Certo, la schizofrenica modalità Usa di minacciare, deliberare, addolcire e ripartire con le minacce, non aiuta a tenere i nervi saldi, così da non mettere in mostra quelle politiche attive e scelte strategiche che possono mitigarne l’effetto, magari portandoci ad intraprendere percorsi di innovazione capaci di tramutare un rischio in opportunità.
Una delle prime azioni dovrebbe essere proprio quella che pone al centro del piano di reazione la comunità europea che dovrebbe essere in grado di mettere in un angolo le diverse idee o interessi locali per lanciarsi in un progetto in grado di generare e redistribuire valore prima di tutto nel continente. Ma anche limitandoci al nostro contesto potrebbe essere l’occasione per cambiare passo sul fronte dell’efficientamento dei nostri sistemi produttivi, dei nostri mercati distributivi, di quelli finanziari senza scordare la zavorra che incide su ciò che produciamo o eroghiamo legata alla burocrazia.
Generare valore e ridurre inefficienze potrebbe essere il grimaldello attraverso il quale ripensare alle politiche di sostegno sociale (dalla distribuzione del reddito alle politiche di welfare) la cui capacità realizzativa potrebbe essere il volano per rilanciare i consumi interni. Piangerci addosso o evocare vie nazionali al confronto non sembra la strada corretta per trasformare questa situazione in un’occasione per cambiare.
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