Referendum 8 e 9 giugno: tutto quello che c’è da sapere

A cura di Stefano Zanotti
Seggi aperti domenica dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15: si vota per abrogare quattro norme sul lavoro e una sulla cittadinanza
Si vota l'8 e il 9 giugno
Si vota l'8 e il 9 giugno
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Domenica 8 e lunedì 9 giugno gli elettori potranno votare per cinque referendum: quattro sul lavoro (promossi dalla Cgil) e uno sulla cittadinanza per gli extracomunitari (promosso da un comitato di cui fa parte PiùEuropa). Si tratta di referendum abrogativi, ossia il mezzo per eliminare, totalmente o parzialmente, una legge o un atto avente forza di legge (decreti legge o legislativi approvati o adottati dal Governo).

Tutti i quesiti iniziano, infatti, con la formula «volete voi abrogare...» e si può fare una croce sul «Sì» o sul «No»: nel primo caso se si desidera che la legge sia abrogata, nel secondo se di desidera che la legge resti in vigore. I referendum abrogativi sono validi se si raggiunge il quorum: deve partecipare al voto il 50%+1 degli elettori, che sono 51.303.216 (5.302.299 sono all’estero). Nei registri elettorali provinciali di Brescia sono iscritte 948.855 persone: di queste 480.772 sono femmine e 468.083 sono maschi.

Come si vota

Domenica le urne saranno aperte dalle 7 alle 23, mentre lunedì dalle 7 alle 15. Potranno votare tutti gli elettori che hanno compiuti 18 anni alla data del voto. Per votare è necessario presentarsi al proprio seggio nel comune di residenza con la tessera elettorale e un documento d’identità valido. In mancanza di un documento, l’elettore può essere riconosciuto da uno dei membri del seggio che lo conosce e ne attesta l’identità o da un altro elettore del comune noto al seggio e che ha con sè il proprio documento.

Può votare anche chi è in possesso della ricevuta della richiesta di rilascio della carta d’identità elettronica. Gli italiani residenti all’estero, che non hanno optato per il voto in Italia, votano per corrispondenza, esprimendo il loro voto su schede che vengono recapitate al loro indirizzo di residenza all’estero.

Cosa può fare un elettore

L’elettore che vuole votare può dunque andare al seggio e fare, per ogni quesito, una «X» sul sì o sul no: in questo modo si contribuisce al quorum. Lo stesso vale se si decide di lasciare la scheda bianca o di annullarla. Un elettore può decidere anche di ritirare solo alcune schede referendarie e votare in maniera regolare (oppure lasciarle bianche o annullarle): in questo modo parteciperà al quorum di alcuni quesiti.

C’è poi la possibilità di non ritirare le schede. L’opzione scelta dalla premier Giorgia Meloni. In questo caso l’elettore non viene considerato come votante e dunque non sarà conteggiato tra quelli che servono per raggiungere il quorum e sulla sua tessera non verrà apposto il timbro. Non contribuirà nemmeno se è stato registrato nella lista sezionale perché accanto al suo nome verrà scritto «Non votante». Se le schede venissero invece ritirate e restituite senza passare dalla cabina, verrebbero considerate nulle e dunque si concorrerebbe al quorum. 

Il quorum

La battaglia politica attorno ai referendum dell'8 e 9 giugno si sta consumando sull'affluenza. Per una considerazione molto semplice: il quorum che rende valido questo tipo di consultazione è il 50% degli elettori più uno, soglia mai raggiunta negli ultimi trent'anni. Tranne un'eccezione: il quesito sull'acqua del 2011.

Non a caso, le forze di centrodestra stanno facendo campagna per l'astensione, mentre quelle di centrosinistra sono compatte sull'invito ad andare alle urne. Solo su quello, per la verità. Nel merito, seguire il navigatore del «chi vota come» significa inoltrarsi nel solito labirinto della politica italiana. 

Il primo quesito

Il primo quesito
Il primo quesito

Il primo dei quattro referendum sul lavoro, promossi dalla Cgil, chiede la cancellazione della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti introdotto nel 2015 con il Jobs act del governo Renzi, applicata a tutti coloro che sono stati assunti a partire dal 7 marzo 2015 in poi. Nelle imprese che hanno al loro interno più di 15 dipendenti, in diversi casi di licenziamento illegittimo non c'è il reintegro nel posto di lavoro previsto dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970 ma un indennizzo economico che può arrivare fino ad un massimo di 36 mesi.

Secondo i calcoli effettuati dalla Cgil, gli occupati assunti dopo il 7 marzo 2015 sono oltre 3 milioni e 500mila, che aumenteranno nei prossimi anni, e sono «penalizzati da una legge che impedisce il reintegro anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta e infondata l'interruzione del rapporto». L'obiettivo di chi ha promosso il referendum è dunque quello di abrogare la norma e di riuscire a «impedire quei licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo».

Il secondo quesito

Il secondo quesito
Il secondo quesito

Il secondo quesito dei quattro referendum sul lavoro promossi dalla Cgil chiede più tutele per le lavoratrici e i lavoratori delle piccole imprese. In particolare, il quesito referendario in questione riguarda la cancellazione del tetto all'indennità nei licenziamenti nelle imprese con meno di 16 dipendenti: qui in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere sei mensilità di risarcimento, anche qualora un giudice reputi infondata l'interruzione del rapporto di lavoro.

Il bacino attuale di riferimento è di circa 3 milioni e 700mila, il numero dei dipendenti delle piccole imprese calcolato dalla Cgil. L'obiettivo del referendum abrogativo è dunque «innalzare le tutele di chi lavora, cancellando il limite massimo di sei mensilità all'indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato affinché sia il giudice a determinare il giusto risarcimento senza alcun limite». Il giudice tornerebbe così ad avere più discrezionalità nello stabilire il valore del risarcimento, uno scenario che negli ultimi anni non è stato più in vigore.

Il terzo quesito

Il terzo quesito
Il terzo quesito

Il terzo quesito riguarda ancora una volta il Jobs act, ma anche l'ultimo intervento del governo Meloni puntando all'eliminazione di alcune norme sull'utilizzo dei contratti a termine. In Italia, calcola la Cgil, circa 2 milioni e 300mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato. I contratti a termine in questo momento possono essere instaurati fino a 12 mesi senza causali, ovvero – secondo i proponenti – senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi il lavoro temporaneo anziché un’assunzione a tempo indeterminato.

L'obbligo di introdurre le causali per i contratti a termine fino a 12 mesi era stato eliminato nel 2015 proprio con il Jobs act del governo Renzi e poi reintrodotto nel 2018 con il decreto Dignità del governo Conte. L'ultima modifica è arrivata nel 2023 con il decreto Lavoro del governo Meloni, che ha escluso per i rinnovi e per le proroghe l'esigenza delle causali per i contratti fino a 12 mesi. «Rendiamo il lavoro più stabile. Ripristiniamo l'obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato», è la richiesta del referendum.

Il quarto quesito

Il quarto quesito
Il quarto quesito

Il quarto quesito referendario interviene in materia di salute e sicurezza sul lavoro e riguarda il cosiddetto Testo unico del 2008. La Cgil ricorda che sono all’incirca 500mila le denunce di infortunio sul lavoro che si accumulano in un anno e mille i morti registrati nel nostro Paese in dodici mesi: questo vuol dire che in Italia ogni giorno tre lavoratrici o lavoratori muoiono sul lavoro. Nel mirino ci sono gli appalti e i subappalti.

Si chiede dunque di modificare le norme attuali, che impediscono, in caso di infortunio negli appalti, di estendere la responsabilità all'impresa appaltante. L’oggetto del quarto quesito referendario è quindi l’esclusione della responsabilità solidale di committenti, appaltanti e subappaltanti negli infortuni sul lavoro. L’obiettivo dei proponenti del referendum è quello di eliminare le norme che impediscono di estendere la responsabilità alle imprese appaltanti. «Estendere la responsabilità dell'imprenditore committente significa garantire maggiore sicurezza sul lavoro», sostiene la Cgil nella spiegazione del quesito referendario in questione.

Il quinto quesito

Il quinto quesito
Il quinto quesito

L'8 e 9 giugno si voterà anche sulla legge del 1992 che regola la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri. Secondo la legge che è attualmente in vigore nel nostro Paese, un adulto straniero, cittadino di un Paese che non fa parte dell'Unione Europea, deve risiedere legalmente dieci anni in Italia per poter presentare la documentazione necessaria a chiedere la cittadinanza italiana. L'obiettivo del referendum abrogativo è ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza, ripristinando un requisito introdotto nel 1865 e rimasto invariato fino al 1992.

Il termine dei dieci anni che è attualmente in vigore in Italia rappresenta la regola generale ed è tra i più lunghi in Europa. La riduzione a cinque anni del requisito di residenza potrebbe indirettamente semplificare anche il percorso per molti minori stranieri: ad oggi, infatti, un minore straniero nato in Italia da genitori non italiani non acquisisce automaticamente la cittadinanza ma può richiederla solamente al compimento dei diciotto anni, a patto che abbia risieduto legalmente e ininterrottamente in Italia fino a quel momento.

Le posizioni dei partiti

Il centrodestra è praticamente compatto: i partiti della maggioranza invitano a disertare le urne, tranne Noi Moderati che è per il «No». Più barocca la cornice delle opposizioni: la linea ufficiale del Pd è cinque «Sì», ma l'ala riformista del partito ha detto che non voterà tre dei referendum sul lavoro. L'indicazione del M5s è per votare «Sì» ai quesiti sul lavoro e per lasciare libertà di scelta sulla cittadinanza, anche se il presidente Giuseppe Conte ha annunciato il suo «Sì» anche a quello. Cinque «Sì» senza dubbi o distinguo per Avs.

Nel caso in cui venga raggiunto il quorum, è quasi scontato che i «Sì» avranno la meglio, visto che la stragrande maggioranza dei contrari preferirà starsene a casa. Ecco perché il focus delle campagne politiche è tutto sull'affluenza. Il superamento del 50% verrebbe letto come una «sfiducia» di fatto alle indicazioni della maggioranza. Ed è per questo anche che la battaglia dei promotori punta molto sulla polemica con la Rai – con tanto di azioni legali e interrogazioni –accusata di «oscurare» i referendum.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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