Lavoro e immigrazione: ambiguità a 5 stelle

I referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno si stanno avvicinando ma le posizioni dei pentastellati sono sempre meno unite: se sui quesiti riguardanti il lavoro il partito si è espresso per il sì, sulla cittadinanza ha scelto di non esporsi
Alcune schede elettorali - © www.giornaledibrescia.it
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I referendum si avvicinano, ma le posizioni fra il M5s e gli altri partiti del cosiddetto «campo progressista» continuano ad allontanarsi. Mentre sui quesiti riguardanti il lavoro i pentastellati si sono espressi per il sì (quindi per l’abrogazione delle norme: ricordiamo agli elettori che andranno ai seggi l’8 e il 9 giugno che il sì è per la cancellazione della norma, mentre il no è per il mantenimento), sulla cittadinanza il M5s ha scelto una posizione ondivaga, decidendo di non decidere.

La «libertà di voto» (di fronte alla quale le intenzioni di Conte e di altri esponenti pentastellati di votare e votare «sì» sono rondini che non fanno primavera) è un modo per non esporsi, per parecchie ragioni tattiche. La prima è che l’elettorato del M5s vota solo alle politiche, poco alle europee, pochissimo a regionali e comunali (figuriamoci al referendum), quindi meglio non conteggiare fra i voti attesi come favorevoli anche quelli pentastellati, per evitare che qualcuno imputi al M5s la solita difficoltà nel motivare i propri elettori quando non si tratta di rinnovare le Camere.

La seconda è che Conte e il M5s hanno governato con la Lega nel famoso esecutivo «gialloverde», quello nel quale la durezza verso l’immigrazione raggiunse (con Salvini, ma nessun pentastellato si oppose fermamente alla politica del leader leghista) il culmine della durezza. La terza è che – fra il 2013 e il 2018 – il M5s ha avuto percentuali record di voti quando, per la sua terzietà rispetto ai poli, ha drenato consensi sia da sinistra, sia da destra.

La convivenza al governo con Salvini, però, fu fatale ai pentastellati, perché nel 2019 il capo leghista riportò a casa, nel centrodestra e in particolare nella Lega, la stragrande maggioranza dei voti andati in precedenza «in libera uscita».

Poiché oggi il M5s non riesce ad aumentare i suoi consensi perché c’è poco da contendere a un Pd sbilanciato a sinistra e ad Alleanza Verdi-Sinistra (quest’ultimo partito, anzi, ha progredito alle europee proprio prendendo voti di ex cinquestelle) forse bisogna anche dare qualche messaggio a destra, senza contare che anche fra i ceti popolari simpatizzanti per il M5s (cioè fra i più o meno ex di sinistra o non votanti che però vengono da esperienze pregresse di voto non a destra) ci sono elettori che non hanno simpatia per l’idea di abbassare da dieci a cinque anni il tempo del legale soggiorno del cittadino straniero extracomunitario che servirebbe per ottenere la cittadinanza italiana.

Mentre sul lavoro il centrosinistra è unito (anche perché sono temi cari al M5s, che sulla scia del reddito di cittadinanza e del vasto insediamento elettorale al sud è strutturalmente dalla parte dei lavoratori più svantaggiati), sull’immigrazione differenziarsi può essere utile, soprattutto fra chi vede nello straniero un potenziale concorrente (per lavoro, posti negli asili nido, case popolari, eccetera). Infine, l’ultima ma importante ragione tattica che spinge il M5s a proporre il «fate come volete» referendario ai propri elettori è la necessità di smarcarsi in ogni occasione possibile dal resto della coalizione.

In politica estera la posizione sull’Ucraina va contro tutti gli altri partiti (ma non Avs, che qui fa concorrenza ai pentastellati, senza contare che la sinistra ecologista radicale appare più forte sulla questione palestinese e in generale sul pacifismo); sulle critiche all’Europa per le spese militari (sulle quali la Meloni ha avuto buon gioco nel ricordare che Conte le ha aumentate, quando era a Palazzo Chigi) si è lontani dalla creazione di uno schieramento alternativo alla destra (anzi, spesso c’è consonanza con la Lega, come sull’Ucraina).

In politica interna, il desiderio di Conte di differenziarsi dalla Schlein sta nel fatto che il M5s non accetta il responso elettorale che ha dato al Pd il doppio dei voti pentastellati, quindi il compito di costruire e guidare il nuovo centrosinistra; sulla legge elettorale la maggioranza di destra vuole il premierato e una legge che preveda l’indicazione del candidato premier sulle schede per il Parlamento, mettendo in rotta di collisione Conte e Schlein che aspirano (soprattutto il primo, che ci tiene moltissimo) ad essere candidati a Palazzo Chigi nel 2027.

Lo scarto sull’immigrazione serve a sbarazzarsi anche di Avs, che la pensa diversamente, ma è fatto con astuzia, perché un «no» sarebbe stato dirompente e avrebbe fatto perdere consensi verso la sinistra radicale, mentre la libertà di voto salva la situazione.

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