Assalto al caveau, gli arrestati al Riesame: «Non siamo mafiosi»

Chi voleva svuotare la Mondialpol di Calcinato ricorre contro l’accusa di legami malavitosi
L'arrivo a Paderno Franciacorta del tir con le armi - © www.giornaledibrescia.it
L'arrivo a Paderno Franciacorta del tir con le armi - © www.giornaledibrescia.it
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Due settimane dopo la maxi operazione interforze che ha sventato un assalto da 83 milioni di euro, almeno dieci dei 29 arrestati sono pronti a presentarsi davanti al tribunale del Riesame. Appuntamento già domani. Per chiedere, la maggior parte, la cancellazione dell’aggravante mafiosa contestata dal pubblico ministero Paolo Savio, titolare dell’inchiesta, e confermata dal gip Matteo Grimaldi che ha tenuto in carcere il gruppo che aveva messo nel mirino la sede della Mondialpol a Calcinato.

Il piano

Nei piani, il caveau doveva essere assaltato la sera dell’undici marzo scorso. Partendo dal capannone di Cazzago San Martino, ritenuto il covo della banda, e nel quale le forze speciali hanno fatto irruzione pochi minuti dopo che il gruppo - erano in 14 - aveva caricato le armi da guerra, portate a Brescia la mattina stessa da due componenti che ora, come gli altri, negano legami con clan mafiosi.

Per gli inquirenti invece i 29 arrestati - tra cui molti pugliesi di Cerignola e calabresi trapiantati a Brescia - avrebbero agito «al fine di agevolare l’attività di associazioni mafiose ed in particolare tramite Giuliano Franzè, residente in Valtrompia, per favorire l’insediamento nel territorio bresciano e comunque il rafforzamento della ’ndrangheta, ed in particolare della cosca Pelle di San Luca, mentre tramite Tommaso Morra e gli altri cerignolani al fine di agevolare il rafforzamento del clan mafioso Piarulli-Ferraro e Di Tommaso operante in provincia di Foggia».

I legami e i precedenti

L’indagine che ha portato per sei mesi Polizia e carabinieri a monitorare ogni spostamento della banda che voleva fare il colpo da 83 milioni di euro, era nata proprio nell’ambito di un’inchiesta dell’antimafia. Quella che ad ottobre scorso aveva spalancato le porte del carcere a Francesco Candiloro, socio in un laboratorio di pasticceria in città, e ritenuto l’esecutore dell’omicidio del fratello di un collaboratore di giustizia avvenuto a Pesaro il giorno di Natale del 2018 e «maturato - stando alle carte dell’inchiesta - nell’ambito della faida scatenata dalla Cosca Crea di Rizziconi in provincia di Reggio Calabria».

Dalle indagini sul delitto di Pesaro erano emersi i presunti legami tra Candiloro, oggi in carcere, e Giuliano Franzè, anche lui in cella dopo il blitz di due settimane fa, e considerato da chi indaga «il punto di incontro tra la ’ndrangheta a Brescia e il gruppo di Cerignola». Per questo dal 28 settembre scorso Franzè era finito sotto intercettazione. Ed è proprio lui, già con precedenti per droga e per detenzione di armi illegali di cui una con silenziatore, che, su un’auto piena di cimici, il 13 ottobre accoglie in provincia di Brescia Tommaso Morra e Giuseppe Iaculli, partiti dalla Puglia con l’obiettivo di pianificare il colpo del secolo: svuotare il caveau della Mondialpol a Calcinato indicato da Franzè.

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