Pnrr agli sgoccioli, nuovo stadio, casa e bonifiche: i bivi del 2026

Dal nodo casa alla corsa contro il tempo dei 7.641 cantieri, dal Rigamonti bis alla mobilità: a Brescia riflettori sull’anno che verrà
Un cantiere - © www.giornaledibrescia.it
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Quando finiscono i «soldi facili», iniziano le scelte difficili. Per i Comuni, il 2026 segna esattamente questo passaggio: il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) si ritira lentamente dalla scena, lasciando dietro di sé cantieri, progetti in corsa e soprattutto decisioni che non possono più essere rinviate.

È il momento in cui i territori devono decidere che forma vogliono darsi quando l’eccezione diventa normalità e «l’abbondanza straordinaria» lascia spazio alla gestione ordinaria. L’orizzonte in cui scocca il gong finale è fissato per la primavera, si scivolerà probabilmente più in fondo possibile, alla fine di giugno. Ma anche se ci fosse (e per il momento non c’è) una deroga per traguardare a settembre, il punto dei prossimi dodici mesi non è più quante opere verranno realizzate, ma quale idea di sviluppo le tiene insieme. Perché ogni investimento, ogni scelta urbanistica è anche una scelta politica: stabilisce priorità, redistribuisce risorse, disegna rapporti di forza.

La resa dei conti

Qualche dato per capire, tecnicamente, a che punto siamo e di che mole di cantieri stiamo parlando. La nostra provincia ha in ballo 7.641 progetti per 2,9 miliardi (di cui 655,3 milioni provenienti da altre risorse). Secondo l’indagine di OpenPolis, i pagamenti sono fermi al 19%. Significa che le opere procedono, ma senza copertura economica. Qualche esempio: la maggior parte dei contributi riguarda le infrastrutture (841 milioni a fronte di progetti per 1,1 miliardi), ma l’assegno arrivato a destinazione copre solo il 4%.

Fatto sta che il Pnrr ha funzionato come un enorme acceleratore. Sì, ha imposto tempi serrati, ma ha anche coperto, per qualche anno, una fragilità strutturale: la difficoltà di programmare senza l’ombrello di fondi straordinari. Nel 2026 questa rete viene meno. E Brescia, come gran parte del Paese, entra in una fase in cui ogni nuova opera dovrà misurarsi con bilanci più stretti, priorità più selettive, maggiore conflittualità politica. È qui che si gioca la prima partita: la capacità di passare dalla logica del progetto alla logica del sistema.

Per questo a grandi opere si affiancano grandi bivi: indecisioni da sciogliere, dossier e soluzioni rimasti impantanati talmente a lungo da sembrare già ammuffiti ancora prima di nascere davvero. La sede unica della Provincia, il Piano territoriale di coordinamento provinciale, la gestione delle aree dismesse, la distribuzione dei servizi sanitari e infrastrutturali, la presa in carico dei minori non accompagnati (che sono sempre di più), le politiche su una mobilità che - gestita a spot, senza quadro d’insieme - rischia di creare sempre più divari (dove latita) anziché opportunità (concentrate, gioco forza, dove si investe).

Sono tutti nodi che parlano di una governance territoriale ancora incompleta. E il rischio è duplice. Da un lato, una città che moltiplica decisioni e funzioni arrivando però all’effetto «pentola a pressione»; dall’altro, una provincia che resta terreno di compensazione, chiamata a ospitare funzioni residuali o, peggio, destinata a impoverirsi.

Politiche

Ma c’è un’infrastruttura che, più di tutte, incarna l’emblema del bivio di questo 2026: lo stadio Rigamonti (bis). «E lo stadio nuovo?» è la domanda immancabile. L’ultima chance che lascia aperta questa strada è proprio il 2026. Lo dicono, per una volta all’unisono (anche se rigorosamente a taccuini chiusi), i protagonisti diretti di questa partita (Comune da un lato, società dall’altro): «O adesso, o mai più». I primi giorni di febbraio si farà il punto vero, seduti a un tavolo. Se Rigamonti bis sarà, l’iter inizierà da quell’incontro, da cui scatterà il gong per un’operazione pensata nell’arco di tre anni, seguendo la legge stadi.

Una veduta aerea dello stadio Rigamonti - Media house Union Brescia
Una veduta aerea dello stadio Rigamonti - Media house Union Brescia

Il tema abitativo attraversa tutto il territorio, con intensità diverse ma con la stessa urgenza. In città il problema è l’accesso: prezzi in crescita, offerta limitata, giovani e famiglie in affanno. In provincia, soprattutto nelle aree interne, la trama è opposta: case vuote, servizi che arretrano, popolazione che invecchia, spopolamento. Il 2026 sarà un anno decisivo per capire se le politiche sulla casa riusciranno a tenere insieme queste due facce della stessa crisi. Il capoluogo ci prova annunciando un piano casa che dovrebbe creare 600 nuovi alloggi a Sanpolino. Ma senza una strategia demografica d’insieme, esplicita e coordinata tra tutti i territori provinciali (servizi, mobilità), il rischio è di intervenire sugli effetti senza incidere sulle cause.

La sanità è forse il terreno su cui la dimensione provinciale pesa di più. Ospedali, reti territoriali, investimenti tecnologici: ogni scelta sposta il baricentro dei servizi e ridisegna le distanze reali tra i cittadini e il diritto alla cura. I cantieri all’ospedale Civile, lo snodo degli ambulatori pubblici, i dibattiti sui potenziamenti e sulle nuove strutture non è solo tecnico. È una discussione sul modello di sanità che si vuole costruire: centralizzato o diffuso, economico o territoriale, orientato solo all’emergenza o alla prevenzione, privato o pubblico. Anche qui, il 2026 non sarà l’anno delle risposte definitive, ma l’anno del bivio - quello in cui le traiettorie diventano poi difficili da invertire - sì.

Aree dismesse, patrimonio sottoutilizzato, ex comparti industriali: Brescia è seduta su una quantità enorme di spazio già costruito ma non più produttivo. Una ferita ambientale chiede risposte non solo tecniche, ma politiche e sociali. Bonificare non significa solo mettere in sicurezza, ma decidere cosa diventa quel pezzo di città e per chi. L’atlante ambientale dei prossimi dodici mesi dovrebbe restituire un affresco non banale: la bonifica del sito Caffaro entra nel vivo, la ex Metalli Capra di Capriano del Colle procede spedita, sulla ex Selca la Regione sta insistendo e si dovrebbe scrivere anche il destino di discarica Vallosa ed ex cava Piccinelli.

Il Pnrr è stato una marea. Ha sollevato tutto, anche questioni ferme da anni. Ora l’acqua si ritira. E come sempre, quando la marea scende, si vede cosa resta davvero sulla riva: politiche solide, infrastrutture necessarie, oppure detriti e promesse. Il 2026 dirà se la nostra provincia avrà usato l’onda per individuare una rotta o solo per galleggiare un po’ più a lungo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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