Brescia ha l’incidenza di stranieri più alta d'Italia

In città siamo al 19,1%, in provincia più di un bambino su tre ha una storia migratoria alle spalle: questo ci rende interculturali
Brescia è la seconda provincia lombarda per numero di alunni stranieri - © www.giornaledibrescia.it
Brescia è la seconda provincia lombarda per numero di alunni stranieri - © www.giornaledibrescia.it
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Gli ingredienti per stare «sul mercato che vale», quello competitivo e che genera benessere reale, ci sono tutti. Ma se questi ingredienti non si leggono, non si analizzano e, quindi, non si governano, si rischia di non evolversi nella direzione giusta. Quale? Quella che porta a stare al passo con i nuovi tempi, i nuovi spazi, le nuove trasformazioni e le nuove generazioni. Altrimenti ecco il rischio: quelle stesse «materie prime», potenzialmente eccellenti, possono portare ad acuire contraddizioni e contrasti fatti di disparità e di fratture. Tra ricchezza e nuove povertà, tra adulti e giovani, tra produzione e ambiente, tra integrazione e razzismo.

Ecco perché, in un momento storico in cui Brescia è in perfetto equilibrio tra local e glocal, la chiave di volta è l’economia cognitiva: conoscenza e ricerca con la persona al centro. Ci vogliono, insomma, «economia e sentimento», consapevolezza della propria identità e apertura alla creatività per condividere benessere.

Nello studio il focus sull'immigrazione

Alta la presenza degli studenti stranieri nelle scuole - © www.giornaledibrescia.it
Alta la presenza degli studenti stranieri nelle scuole - © www.giornaledibrescia.it
È questo, una lettura dei dati-bussola che raccontano lo spaccato attuale, che il libro «Brescia, resilienza e ripresa. Una città che cambia» - curato da Ilaria Beretta e Valerio Corradi e presentato ieri nella Sala Libretti del GdB con il direttore Nunzia Vallini - tenta di consegnare: in otto capitoli si racconta la Brescia d’oggi guardandola dall’alto, attraverso un piano sequenza che scardina lo stereotipo di «provincia esclusivamente industriale» e va oltre. Rileggendone punti di forza, evoluzione e prospettive.

Tanti gli spunti, figli del fatto che siamo in un’epoca di cambiamenti accelerati dalla pandemia che ci ha posto di fronte alle nostre vulnerabilità, come persone e come corpi sociali. Bisogna fare i conti con le questioni della sostenibilità, con le crescenti rivendicazioni di una migliore qualità della vita e del lavoro. Prospettive da ricalibrare, dunque. E da mettere al centro di una nuova rete di relazioni, tipiche peraltro proprio di una Brescia che è stata capace di compiere una metamorfosi «da provincia multiculturale a provincia interculturale».

L’evoluzione è descritta nei numeri: le comunità straniere sono passate dal 2,6% del 1998 all’11,9% del 2021. Il capoluogo accoglie circa un quarto degli stranieri, mentre il 75,9% sta nelle diverse zone produttive: l’ovest e la Bassa hanno un’incidenza di immigrati stabile, mentre Valsabbia e Valtrompia - che quindici anni fa erano le zone più multietniche - hanno incassato un calo. C’è un riflesso anche nel mondo dell’impiego? Sì. La domanda di lavoro è divenuta, negli anni post-crisi, sempre più confinata in filiere «etnicizzate»: costruzioni, servizi alle imprese, lavoro domestico e agricoltura.

Ma anche la scuola è uno specchio chiave: nel Bresciano più di un bambino su tre (35,3%) ha una storia migratoria alle spalle, la nostra è la seconda provincia lombarda (dopo Milano) per numero di alunni stranieri: basti pensare che i ragazzi figli di stranieri di prima e seconda generazione rappresentano il 17,7% della popolazione scolastica. Questa convivenza in ambito lavorativo (dettata da una reciproca convenienza sociale) e scolastico «ha portato a un’evoluzione positiva delle politiche locali di integrazione» si legge nel volume, ma anche a intolleranze: «Quest’ambivalenza - scrive Maddalena Colombo - mostra una Brescia che esprime tanto le buone intenzioni, quanto i cattivi pensieri» e vi è spesso un allarme legato alla pressione sui servizi che spinge alcune Amministrazioni bresciane ad ostacolare l’accoglienza.

L'andamento demografico

Serve conoscersi meglio per capire che le aree metropolitane sono luoghi vitali, segnati da una «economia di peculiarità locali» che continua ad attrarre risorse umane, finanziarie, culturali, sociali e a proporre ipotesi in cui produttività e inclusione non sono antinomie. Chi sceglie il capoluogo e chi la provincia? Come è cambiata la platea dei residenti? Lo spaccato demografico risponde a queste domande. E il primo dato interessante è che esiste un «caso Brescia»: in città l’incidenza degli stranieri sulla popolazione complessiva (pari al 19,1%) è più elevata non solo della provincia (12,4%), ma anche della Regione (11,9%) e dell’Italia (8,7%).

Altro aspetto da tenere in considerazione per la pianificazione è che la popolazione della città è più vecchia di quella della provincia: l’età media è di 45,9 nel primo caso e di 44,5 nel secondo. Senza contare che ci si trova a rilevare ancora «una forte contrazione delle nascite» e, quindi, «l’invecchiamento della popolazione». Che fare? Maria Elena Comune nel libro elenca alcuni suggerimenti: servirebbero non solo politiche di sostegno alla natalità ma anche ai redditi delle famiglie, oltre che politiche di conciliazione dei tempi lavorativi con quelli familiari, oltre che incentivare nidi e tempi famiglia. Suggerimenti preziosi per gli amministratori. Anche loro alle prese con «Una città che cambia» tra «resilienza e ripresa».FocusLo studio su «Brescia, resilienza e ripresa. Una città che cambia».

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Marginalità sociale e povertà: così in città

Brescia dall'alto - © www.giornaledibrescia.it
Brescia dall'alto - © www.giornaledibrescia.it
Alla crescita del benessere diffuso va di pari passo quella della fascia di persone e di famiglie in difficoltà. Quale la distribuzione nel capoluogo? Nel libro è Diego Mesa a descrivere questa geografia. Partendo dal centro storico che è al tempo stesso la zona con il reddito medio annuo più elevato e quella con la percentuale più alta di redditi al di sotto della soglia di povertà. Come mai? Perché racchiude al suo interno spazi urbani nevralgici e di pregio ma anche servizi e luoghi chiave per le fasce più fragili della popolazione (come il carcere, ma anche il «non luogo» della stazione, spesso approdo di senza dimora). 

Al secondo posto per livelli reddituali c’è la zona nord della città, che vede però anche il minor numero di redditi sotto la soglia di povertà, con una composizione socioeconomica più omogenea. Sul versante opposto, si pongono i quartieri della zona ovest e sud, caratterizzati da medie reddituali leggermente più basse e da una quota maggiore di redditi sotto la soglia di povertà. In queste aree mini grattacieli del nuovo terziario e condomini di nuova concezione si trovano a breve distanza con aree industriali dismesse e case popolari.

«In una città di poco più di 90 chilometri quadrati - scrive Mesa - le distanze fisiche tra centro e periferie sono brevi e non riflettono geometricamente le distanze sociali tra i vari segmenti della popolazione. Differenze e disuguaglianze sociali coesistono sovente negli stessi spazi urbani». Così confini e distanze sociali sono più compressi, sottili e parcellizzati nello spazio e nel tempo». Le diverse anime della città convivono in un gioco di distanze e vicinanze, visibilità e invisibilità sociale.

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