Ottomila residenti in meno, così cambia la mappa del Bresciano

Nell’anno della pandemia 164 Comuni in calo: è la prima volta in 70 anni. La popolazione si dispone lungo un asse est-ovest e intorno alla città
Folla attraversa una strada
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Con i suoi dati essenziali, di quanti nascono e quanti muoiono, di chi arriva e chi parte, la demografia è un sismografo sociale sensibilissimo. I dati. Guardando i numeri bresciani forniti nei giorni scorsi dall’Istat, non soltanto si registra impietosamente il passaggio della pandemia, ma emergono anche le correnti di fondo che muovono le maree della popolazione. Come su queste stesse pagine hanno scritto Claudio Venturelli e Valerio Corradi, le tombe allineate dal Covid non rappresentano solo quel che appare in superficie, cioè il passaggio di livella dovuto alla nuova pestilenza in un quadro di riaggiustamento degli equilibri, come avrebbe pronosticato Thomas Robert Malthus. Queste, le tombe, vanno poste di fronte alle culle vuote, che fin da prima del coronavirus stanno facendo scivolare l’Italia in un precipizio demografico.

È una sorta di inverno che si prolunga, sempre più rigido perché non si riesce a delineare un’idea del domani. Siamo un Paese senza nascite perché il nostro è un paese senza progetti. Persino la migrazione da noi è solo di passaggio: non ci si ferma dove non si trova lavoro. Il Bresciano non fa più eccezione rispetto al contesto nazionale: ottomila residenti in meno nell’anno della pandemia, 164 Comuni su 205 con dati in calo. Si registra una flessione, per la prima volta dopo settant’anni. In totale 9.021 nascite contro 16.608 decessi, su una popolazione di 1.247.583 abitanti.

Le differenze. Ci sono però differenze interessanti, da zona a zona. E sono segnali svincolati dal Covid, piuttosto dicono di come la nostra provincia stia cambiando. Innanzitutto, è saltata la logica delle piccole capitali storiche, quelle che segnavano i luoghi di riferimento grazie alla burocrazia delle preture, degli uffici pubblici e degli ospedali, secondo le tre successive riorganizzazioni dell’Italia, dopo l’unità, nel regime fascista e poi con il boom del secondo dopoguerra.

La popolazione, seguendo un andamento liquido-magmatico, si è disposta lungo un asse est-ovet e attorno alla città-capoluogo, si è allargata in un hinterland sempre più espanso, ha creato continuità urbanizzate all’inizio delle valli, ha raddoppiato e talvolta triplicato paesi un tempo piccoli e chiusi. Non fa testo il numero degli abitanti di Brescia, ancora sotto i duecentomila residenti, perché non c’è soluzione di continuità tra il capoluogo e i Comuni limitrofi. Conta invece che ormai più della metà della popolazione bresciana vive e opera in una fascia circoscritta in una decina di chilometri da Loggia e Broletto. E questo deve essere l’orizzonte della programmazione urbanistica, economica e sociale. Si tratta di una fascia che ha visto crescere la zona collinare (Gussago ha 16mila abitanti, Rodengo quasi 10mila) e la bassa con Flero e Roncadelle, ma soprattutto si sta allungando sull’asse orizzontale: Rezzato e Botticino da una parte, Ospitaletto e Travagliato dall’altra, con agglomerati che raccolgono tra i 13mila e 14mila abitanti. Effetto di tangenziali, corda molle e Brebemi, che hanno alimentato insediamenti di manifattura, logistica e servizi.

A ovest non ha più senso parlare di Chiari, Palazzolo o Rovato, che pure stanno attorno ai 19mila abitanti per ognuno, ma di un addensamento che unisce l’intera area e che vale almeno centomila abitanti. Est e Bassa. Spiccano due fronti di una crescita incredibile: Desenzano sfiora i 30mila abitanti, Montichiari supera i 25mila, Lonato ne ha 16mila. Al netto del fascino del Garda, sono sulle direttrici verso Verona e Mantova, ma anche verso il Trentino, nell’unico luogo bresciano dove il tradizionale asse est-ovest incrocia quello che sale verso nord e il Brennero. Se sulle stesse direttrici si collocano anche i 12mila abitanti di Carpenedolo e gli altrettanti di Bedizzole (con la Valtenesi alle spalle), si ha un’idea più reale della pressione in atto. L’ampio spazio della Bassa resta costellato di diversi poli d'attrazione: Orzinuovi con 12mila abitanti, come Bagnolo Mella e Carpenedolo, poi Manerbio e Leno con 13mila, Ghedi che è salito a 18mila. Piccole capitali unite dalla Lenese.

Le valli. La Valtrompia è scivolata più a valle: Lumezzane, che aveva raggiunto i 25mila abitanti, perde quota e ora sta poco sopra i 21mila. Soffre di una chiusura geografica che è stata la sua forza e che ora segna la sua debolezza, non potendosi espandere oltre. Concesio (15mila abitanti), Sarezzo (13mila), Gardone VT (11mila), Villa Carcina (10mila), Nave (10mila) stanno a segnare una continuità con Brescia che invoca non solo l’autostrada ma anche una metropolitana più lunga. Gavardo e Mazzano, con 12mila abitanti ciascuno, paiono indicare una potenzialità mancata, quella che una volta portava verso Salò e la Valsabbia, e che è rimasta senza vie di collegamento in grado di sostenerne la forza. Almeno per ora. La Franciacorta vive fenomeni di polarizzazione attorno a Cazzago e Cortefanca, Capriolo e Adro, fino a Iseo. Scivola più a valle anche la Camunia: le antiche capitali di Edolo, Cedegolo e Breno hanno ceduto capitale umano a Darfo-Boario, che sale a 15mila abitanti, e alla fascia che da sopra Esine scende fino a Pisogne, che vale almeno altri trentamila abitanti. Questo, per sommi capi, è il nuovo volto demografico della nostra provincia. Ed è cambiato molto negli ultimi decenni. È un corpo vivente complesso, articolato e reattivo. Da qui bisognerebbe partire per i progetti futuri.

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