Opinioni

Brescia deve saper cambiare per tenere testa al futuro

Giuliano Noci
Il pendolo della storia oscilla con forza. E in queste fasi non esiste neutralità: o ci si riposiziona, o si viene spinti ai margini. Pericoloso, allora, è pensare di potersi salvare restando immobili
Brescia dall'alto - © www.giornaledibrescia.it
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C’è un oggetto che spiega meglio di qualsiasi piano strategico ciò che sta accadendo al mondo: il giroscopio. Finché gira, tiene l’equilibrio. Quando il centro si irrigidisce, il sistema collassa. Oggi il mondo gira più veloce del previsto: non è più a trazione americana, Trump ha archiviato senza troppi complimenti l’Unione Europea come priorità strategica, l’Intelligenza Artificiale sta riscrivendo l’ontologia stessa del fare impresa e l’Europa, nel frattempo, ha consumato il suo dividendo demografico.

Il pendolo della storia oscilla con forza. E in queste fasi non esiste neutralità: o ci si riposiziona, o si viene spinti ai margini. Pericoloso, allora, è pensare di potersi salvare restando immobili. Illusorio è credere che basti amministrare l’esistente. Vale per l’Italia, ma per Brescia vale ancora di più. Perché Brescia è un territorio che ha costruito la propria forza sull’adattamento, sulla manifattura, sulla capacità di leggere i cambiamenti prima degli altri. Oggi, però, rischia di fare l’errore più grave: confondere la solidità del passato con la sostenibilità del futuro. Brescia non è un territorio omogeneo e non lo è mai stata. È pianura, lago e montagna.

Il lago di Garda - © www.giornaledibrescia.it
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Non una suggestione geografica, ma tre sistemi economici e sociali profondamente diversi, con bisogni, vincoli e opportunità che raramente coincidono. Continuare a pianificare come se tutto rispondesse alle stesse logiche significa irrigidire il centro del giroscopio proprio mentre il sistema avrebbe bisogno di flessibilità. La prima vera scelta di futuro è smettere di fingere un’unità che non esiste e riconoscere che la diversità territoriale non è un problema da correggere, ma una risorsa da governare.

Questo implica un cambio radicale di prospettiva: pianificare per aree omogenee, di scala adeguata a sostenere investimenti sempre più rilevanti per la competitività. Significa superare un’architettura amministrativa che oggi appare più come un residuo del passato che come uno strumento per il futuro. Il destino della provincia passa dalla capacità di concepirsi come un sistema di identità interconnesse, capace di dialogare con territori analoghi di altre province per creare economie di scala reali, non retoriche.

Le valli bresciane, da sole, non riusciranno a gestire le criticità e le opportunità della montagna che cambia: devono integrarsi con quelle bergamasche. Il Garda, se resta una somma di micro-interessi e campanili, perderà attrattività: deve diventare un prodotto unitario, leggibile e competitivo. La pianura, se non si mette in rete con Cremona, Lodi e Mantova, sarà travolta dalla trasformazione dell’agro-industria. Il giroscopio funziona solo se ogni componente accetta di muoversi in relazione alle altre.

Vestone - © www.giornaledibrescia.it
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Poi c’è l’industria, che a Brescia non è una voce di bilancio ma una questione identitaria. La manifattura non è destinata a scomparire, ma a trasformarsi radicalmente. La sua sopravvivenza dipenderà dalla capacità di ibridarsi con l’Intelligenza Artificiale e con le tecnologie digitali. Ma questo non basta. Serve un ripensamento delle specializzazioni economiche del territorio.

La distruzione creatrice non è una formula accademica: è il processo concreto che sta ridisegnando le catene del valore. Semiconduttori, software, servizi di AI, cybersecurity, robotica, spazio, biofarmaceutica, edilizia modulare: queste sono le nuove arene competitive. Guardare al futuro con lo specchietto retrovisore della manifattura tradizionale significa scambiare la memoria per strategia.

A tutto questo si somma una trasformazione sociale che cambia le regole del gioco. I giovani non cercano più solo sicurezza lavorativa, ma qualità della vita. La popolazione invecchia. La famiglia perde centralità come architettura sociale. Continuare a progettare città fatte di quartieri monofunzionali e case isolate significa ignorare la realtà. Serve una nuova idea di spazio urbano: luoghi di vita, di relazione, di lavoro ibrido, capaci di tenere insieme polarità che oggi sembrano inconciliabili.

Ed è qui che emerge il ruolo decisivo del capoluogo. Brescia città deve smettere di pensarsi come centro che attrae tutto a sé. Deve diventare infrastruttura abilitante, perno che consente al sistema di restare in equilibrio. Grazie alla sua massa critica e ai suoi centri di competenza, deve essere facilitatore della transizione digitale, riferimento per l’innovazione e orchestratore dei cluster territoriali omogenei. Non un baricentro che accentra, ma un baricentro che si mette al servizio.

La difficoltà è tutta qui: essere centrali senza essere centralisti. Agire da cinghia di trasmissione e non da calamita. Perché un centro che trattiene tutto finisce per fermare la rotazione. E quando il giroscopio smette di girare, non c’è equilibrio che tenga: cade.

Giuliano Moci - Prorettore delegato del Polo territoriale cinese, Politecnico di Milano

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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