Cucina bresciana e Unesco, ecco i piatti fondamentali da assaggiare

Dalla spongada di Breno, soffice e profumata, ai malfatti di Carpenedolo, saporiti e veraci, passando per lo spiedo che sfrigola lento e i casoncelli al burro della domenica: la tavola bresciana è un racconto fatto di materie prime genuine e gesti tramandati. Un patrimonio che si nutre di tradizione e parla la lingua della convivialità, in perfetta sintonia con lo spirito del riconoscimento Unesco alla cucina italiana.
Ne è convinto Marino Marini, scrittore, chef e gastronomo bresciano: «Non è una questione di ricette – spiega l’esperto –. La cucina del nostro Paese è stata inserita nel "patrimonio culturale immateriale dell’umanità" per la sua capacità di trasformare ingredienti semplici in piatti gustosi e per il suo profondo valore conviviale. Altrove, ad esempio, c’è lo street food: si mangia e si va. Da noi, invece, il cibo riunisce».
È questa la qualità che l’Unesco ha scelto di premiare. Un tratto distintivo che, come evidenzia Marini, «si ritrova con forza anche nella cucina bresciana. Basti pensare ai piatti della domenica come i casoncelli, la tinca al forno, lo spiedo e la bariloca: specialità diverse, in virtù della vastità e della complessità del territorio, accomunate dall’essere motivo di festa. Perché per noi il cibo che riunisce attorno a un tavolo è sacro».
Le Denominazioni comunali
I piatti citati sono tutti De.Co. ossia espressione di un luogo preciso. Nel Bresciano le Denominazioni comunali sono 78 (in queste pagine ne raccontiamo solo alcuni per esigenze di spazio); l’elenco stilato (e aggiornato) da Marini fa venire l’acquolina in bocca.
Ci sono prodotti noti come la patata di Gottolengo, il pirlo di Brescia e il manzo all’olio di Rovato. E prodotti meno conosciuti come la confettura di lamponi di Lozio, le migole di Malonno (una specialità a base di farina di castagne e grano sacaraceno) e i raperonzoli (erbe spontanee) di Lonato. Come ricorda Francesco Spacagna di «Brescia nel piatto», il percorso per decretare le De.Co. è in capo ai Municipi che, a tal proposito, devono dotarsi di delibera del Consiglio comunale, regolamento, albo delle iniziative e manifestazioni, registro dei prodotti e disciplinare di produzione.

La De.Co. – in linea con lo spirito di Luigi Veronelli, che ne caldeggiò l’istituzione – può legare a un territorio un alimento, una bevanda, una ricetta, ma anche un prodotto dell’artigianato (un esempio sono i fischietti di Rutigliano, in Puglia), una festa, una tradizione.
Tradizione
Nella nostra provincia ben sei Comuni hanno tra le proprie De.Co. i casoncelli. La cosa non stupisce Marini: «Brescia è una delle quattro capitali delle paste ripiene. Le altre sono Bergamo, Mantova e Cremona».
Ci sono i caicc di Breno, i canunsèi de Sant’Antone di Castelcovati, i casoncelli bresciani della città e quelli di Barbariga, Pontoglio e di Sant’Andrea a Nuvolento. «Il termine casoncello - precisa Marini – sta a indicare qualcosa di "rigonfio", dalla forma chiusa ripiena a "cassone" o "calzoncello", come il calzone napoletano. Sono frutto della manualità femminile: più sono belli e più aumenta il senso di festa. Il ripieno trae origine da materie prime di recupero del territorio. Nella Bassa, dove si soffriva la fame, c’erano pane e formaggio; in montagna anche le erbe».
Un altro prodotto che, al pari dei casoncelli, è sinonimo di festa è lo spiedo, che ben tre Comuni hanno legato a sé con una De.Co. Sono Gussago, Serle e Toscolano Maderno. In città le De.Co sono sei: biscotto bresciano, bossolà, pirlo, persicata, bertagnì e – la più recente – i casoncelli. A ciascuna corrisponde un disciplinare. Le attività che lo rispettano e intendono iscriversi al registro e utilizzare il logo della De.Co (creato dalle studentesse dall’Accademia Santa Giulia) possono presentare una richiesta al Comune; richiesta che poi viene vagliata da una commissione.

Dop e Pat
Alcuni prodotti bresciani vantano anche il marchio Dop (Denominazione di origine protetta). Un marchio, attribuito dall’Unione Europea, che certifica che un prodotto agroalimentare è stato coltivato, prodotto, trasformato e lavorato in una specifica area geografica.
Sono Dop 11 cibi (come il Furmai de Mut, il Grana padano, il Gorgonzola, il Nostrano Valtrompia, il Silter...) e 17 vini. Nel 2024 hanno generato un valore superiore al miliardo di euro (+6,5% rispetto all’anno 2023) piazzando Brescia come prima provincia lombarda a testimonianza della forza delle nostre filiere produttive.
Tra i marchi sinonimo di eccellenza c’è anche il Pat (Prodotti agroalimentari tradizionali); il riconoscimento in questo caso arriva dal Ministero e identifica prodotti la cui lavorazione viene praticata secondo le stesse regole da almeno 25 anni. I prodotti bresciani Pat sono 34. Qualche esempio? Bagoss, fatulì, cuz di Corteno, migole di Malonno, cappero del Garda.
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