Immergersi nel passato (e nel futuro) per trovare sé stessi

Entri nel chiostro quattrocentesco del Mavs, il Museo Archeologico della Valle Sabbia di Gavardo, e, superata una porticina, c'è una sala immersiva che racconta di uomini che si sono immersi prima in una caverna, il Buco del Frate, e poi nella fanghiglia di un ex-lago, il Lucone di Polpenazze, per esplorare il passato.
Il museo archeologico
È immersiva in senso proprio e figurato, dunque. Vedi giovanotti degli anni Cinquanta, guidati da Piero Simoni (Maestro Elementare e Maestro Jedi), scendere nella grotta dove trovarono lo scheletro di Ursus Spalaeus (l'Orso delle Caverne), che in questa sala, grazie alle nuove tecnologie, prende vita e da insieme di ossa torna a essere ciò che era quarantamila anni fa, un ancestrale custode delle foreste.
Di fianco a lui c'è Piero, mentre guida se stesso e i suoi amici del GGG, Gruppo Grotte Gavardo, a questa scoperta, la prima di molte. È commovente osservare, affiancati a tutta parete, l'antico orso e l'uomo che ebbe l'idea di andare a cercarlo.
A seguire appare la copertina della Domenica del Corriere del 5 settembre 1965. Ritrae una piroga su un laghetto. Sopra ci sono un ragazzo e un vecchio che remano e un uomo che sta pescando. Siamo al Lucone di Polpenazze del Garda, sito palafitticolo scavato dal GGG, che estrasse dal fango l'imbarcazione, ritrovamento così eccezionale da meritare l'attenzione del più celebre settimanale dell'epoca. In un attimo il disegno di Walter Molino prende vita e il giovane, che ci dà le spalle, si gira e mostra un enorme confidente sorriso.
Tra passato e futuro
Sì, questi proiettori non generano solo immagini, ma anche riflessioni. Fanno pensare che chi conosce il passato ha la chiave della porta del futuro e chi costruisce il futuro ha la chiave della porta del passato. Mostrano come aprire entrambe le porte abbia il potere di aprire la mente. Il fine ultimo è comprendere l'inutilità delle porte, abbattute le quali la visione della vita è più chiara.
Il tempo e le immagini sono ciò in cui tutti siamo immersi. E più ci immergiamo più rischiamo di confonderci. O di ammalarci. O di guarire. O di capire. In questo spazio reale e virtuale in cui il passato remoto è reso vivo dal futuro prossimo si realizza che non bisogna temere né ciò che ci sta alle spalle né ciò che verrà, ma che tutto si esprime in un flusso continuo.
Se si vuole trovare se stessi serve imparare a immergersi sia nelle immagini digitali sia nel fango. Serve essere come il ragazzo sulla canoa, che ci guarda da un giornale di sessanta anni fa (perché ora può farlo) e ci invita a continuare la strada verso l'orizzonte. Quella che lui già la percorreva quattromila anni fa e che ora, da questo muro, continuerà a percorrere con le nuove generazioni.
Al Lucone ogni estate scavano ancora molti ragazzi, che, come il loro progenitore, non sanno bene dove li porterà il viaggio, ma ugualmente lo affrontano, sorridendo. E sperando.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@Buongiorno Brescia
La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.
