La Chiesetta degli Alpini dove salire da soldati e scendere da reduci

Una stradina in salita, soprattutto se, in una bella mattina, si arriva entusiasti, ma impreparati al dislivello. Tutta un’imprevista e impervia salita, come la vita. Eppure l’ascesa verso la Chiesetta degli Alpini a Villa di Salò, località Navelli, è utile affrontarla con questo spirito.
La salita a Villa di Salò
Serve a farsi una minima idea di ciò che provava un giovane soldato buttato all’improvviso al fronte, a scalare, a marciare, a vivere male. Dopo qualche minuto ci si sente stanchi e si valuta persino l’ipotesi di girare i tacchi (comunque è sconsigliato venire qui con i tacchi) e arrendersi. Troppe foglie per terra (d’altronde è l’inizio di novembre) e la destinazione sembra a ogni passo più irraggiungibile. Fa troppo caldo, malgrado sia autunno.
Ma un soldato in guerra non può decidere di rinunciare all’impresa (chiamiamola così) che deve portare a termine, perché si chiama diserzione. Non sempre un soldato ha sopra la testa il sole che brilla e dietro le spalle un panorama spettacolare. E anche se, come in questo caso, ce l’ha, resta sempre un poveraccio chiamato alle armi. In più, per quanto questo stesso luogo sia unico e magico, di guerra ne sa ben più di qualcosa, trovandosi proprio sopra il golfo di Salò.
I pensieri si affastellano e, più ci si immedesima nell'anima del milite ignoto che circa 110 o circa 80 anni fa si stava arrampicando su un’altura boscosa senza sapere chi poteva nascondersi tra gli alberi, più aumentano fiatone e angoscia. Quando da dietro i cespugli spuntano due setter seguiti da un cacciatore ci si spaventa a morte. Ecco, sì, paura, morte e fucile, altre cose che vanno aggiunte alla lista di ciò che attiene a un conflitto bellico.
Dalla vetta lo sguardo sulla pace
Infine, dopo un tempo interminabile (che poi in realtà è mezz’ora) e una scalata che sembra di ambire alla vetta dell’Everest (invece la pendenza è del 20% e il sentiero è ampio e comodo) eccola lì, la piccola rotonda votiva in pietra e metallo datata 1986, con davanti una semplice croce, anch’essa in metallo, e di fianco due altissime aste, in cima a una delle quali s’intuisce il tricolore. Il panorama sottostante stavolta non lascia senza fiato, lo restituisce.
La pace scaccia l’ansia e tutto è perfetto. Scendi leggero leggero, tutto contento. Ripensandoci, non è stato poi così difficile e ti senti ridicolo per esserti spaventato e aver quasi ceduto alla tentazione di rinunciare alla meta. La battaglia è finita, la guerra è vinta. Per te che sei qui e sei libero. Sei salito da soldato e sei sceso da reduce.
Ti commuovi, non solo per la bellezza che hai intorno, ma anche perché all’improvviso ti senti addosso la divisa di chi non è mai tornato (o non tornerà, se si trova in uno dei conflitti attualmente in corso) dalla guerra, quella vera, e non ha avuto (o non avrà) l’occasione di vedere, o rivedere, questo specchio d'acqua che oggi ti riempie gli occhi di lacrime.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@Buongiorno Brescia
La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.
