Santa Maria in Solario: bellezza, mistero e l’eco della fine

Santa Maria in Solario: luogo sublime, antico, incastonato nel complesso di Santa Giulia. Cosa si può volere di più? Ammiri gli affreschi cinquecenteschi di Floriano Ferramola, nonché opere di autori più antichi e recenti. Ti commuovi per la delicatezza delle tre absidiole che si stagliano dietro la Croce di Desiderio, millenaria opera di oreficeria (è dell’inizio del IX secolo, giusto tre secoli più anziana della struttura in cui è esposta).
Due presenze ai lati della Croce
Se ti metti di fronte a lei, che è un gioiello non per modo di dire, noterai (in basso sullo sfondo, ai due lati della vetrina di cristallo che la contiene, sui due pilastri che dividono l’absidiola centrale da quelle laterali) due affreschi: quello a sinistra è San Bartolomeo e a destra c’è la Morte.
Il primo subì l’atroce martirio di essere scuoiato vivo (fa impressione dirlo, ma a causa della sua tragica fine è diventato patrono di macellai, conciatori, pellicciai e di altre professioni che contemplano forme di scorticamento).

La seconda, rappresentata secondo tradizione come uno scheletro (qui senza mantello), sappiamo tutti chi è per averla incrociata qualche volta nella vita e non ci sfugge di essere destinati a fare prima o poi la sua conoscenza molto da vicino. Anche per questo ne parliamo, le parliamo e cerchiamo di stabilire un contatto con lei: per ingraziarcela, per esorcizzarla. Ovvio, ci fa paura.
Anche gli altri personaggi rappresentati sui muri sono morti. Tutti meno uno, l’Onnipotente che guarda tutto ciò che è destinato a perire dal centro dal cielo stellato della cupola.
Un memento mori tra luce e oscurità
Interessante abbinamento, quello tra Bartolomeo e la Nera (in questo caso Bianca) Signora. Rende l’idea di una progressiva decomposizione, in cui prima si perde la pelle e poi la carne, fino a ridursi all’osso. Fa riflettere che questi due personaggi s’intravedano ai lati di un’opera di alta oreficeria dal valore incalcolabile dal punto di vista storico, artistico e anche economico.
Il santo senza pelle (anzi, con il suo involucro esterno penzolante dalla spalla come uno straccio) fa da contraltare e da rimando a quel mucchio d’ossa antropomorfo con in mano la falce e ai cui piedi è abbandonato un teschio con la mandibola staccata sono una sorta di Memento Mori (espressione latina che significa «ricorda che devi morire»).
La sua figura risalta sul fondo, buio come un sonno senza sogni, e sopra il suo cranio pallido quasi privo di orbite oculari (non servono occhi a chi vede benissimo), per chi coltivasse qualche dubbio sulla sua funzione democraticamente livellatrice, campeggia una frase: «Io son la morte degna de corona che ha possanza sopra ogni persona. Ogni persona more e ‘l mondo lassa; chi ha offeso a Dio con gran paura passa».
La Morte ha una corona d’oro, perché ha il diritto di indossare gioielli nell’oltretomba. Lei può permettersi di mostrare vanità nella vanità. Noi no.
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