Frank e Vanna, uccisi nella loro pizzeria: la ricostruzione

Il duplice delitto avvenne la mattina dell'11 agosto 2015, a ucciderli due killer invidiosi del loro successo
I coniugi Francesco Seramondi e Giovanna Ferrari, conosciuti dai bresciani come Frank e Vanna - © www.giornaledibrescia.it
I coniugi Francesco Seramondi e Giovanna Ferrari, conosciuti dai bresciani come Frank e Vanna - © www.giornaledibrescia.it
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Sono le 9.40 dell’11 agosto 2015 quando quattro spari squarciano la quotidianità estiva di via Valsaviore a Brescia, in zona Mandolossa, a ovest della città. All’interno della pizzeria «Da Frank», in pieno giorno, va in scena il duplice omicidio che sconvolge il popolo della notte bresciano. In un agguato a mano armata, vengono uccisi il titolare Francesco «Frank» Seramondi, 67 anni, e la moglie Giovanna «Vanna» Ferrari, 65. I due stavano lavorando all’interno del locale, noto in città perché apre alle 18 e chiude al mattino: sono centinaia i bresciani che, ancora oggi, hanno questa forneria-rivendita come punto di riferimento per spuntini notturni o colazioni all’alba.

L’agguato

Dopo aver consegnato krapfen e croissant ai bar della zona, Frank fa rientro al laboratorio di via Valsaviore a bordo del suo furgone. All’interno, impegnata come ogni giorno nelle pulizie di fine turno, c’è la moglie Giovanna. Ad osservare da lontano Seramondi ci sono due uomini, a bordo di uno scooter Kymco 50, entrambi con il casco in testa: si scopriranno essere il 34enne pakistano Muhammad Adnan e il suo complice Sarbjit Singh, indiano di 33 anni. Lo stanno aspettando da più di un’ora, ma lui non lo sa.

Il fucile a canne mozze utilizzato per il duplice omicidio
Il fucile a canne mozze utilizzato per il duplice omicidio

Adnan, vestito di bianco, nasconde avvolto in un fodero un fucile a canne mozze. Pochi istanti dopo, i due killer fanno irruzione nel locale, sotto l’occhio elettronico del sistema di videosorveglianza interno. Singh, che indossa abiti scuri, resta sulla porta: è qui che lascia un’impronta digitale impressa sulla vetrina, che si rivelerà uno dei dettagli che sbloccherà le indagini e li incastrerà. Il suo complice, invece, entra a passi decisi, estrae l’arma e spara frontalmente a Giovanna, che muore sul colpo dietro il bancone. Poi esplode un colpo nella schiena di Frank, che si trova nel retrobottega. Crollato a terra in una pozza di sangue, il suo corpo è straziato da altri due colpi esplosi da molto vicino, mentre l’assassino lo tiene bloccato con un piede. Frank muore poche ore dopo, alle 13.35 all’ospedale Civile di Brescia.

Francesco Seramondi, titolare della pizzeria «Da Frank», amatissimo dai bresciani
Francesco Seramondi, titolare della pizzeria «Da Frank», amatissimo dai bresciani

I due sicari scappano a tutta velocità in sella al motorino. Durante la fuga si sbarazzano dell’arma gettandola in un canale lungo la poco distante via Roncadelle, buttano caschi e vestiti in un cassonetto dell’immondizia e nascondono lo scooter in una cascina della zona. Andranno a recuperarlo due giorni dopo, per smontarlo e disperderne i pezzi tra la Mandolossa e la Val Cavallina, in provincia di Bergamo.

Le indagini e il precedente

  • Il luogo della sparatoria, alla Mandolossa
    Il luogo della sparatoria, alla Mandolossa
  • Il luogo della sparatoria, alla Mandolossa
    Il luogo della sparatoria, alla Mandolossa
  • Il luogo della sparatoria, alla Mandolossa
    Il luogo della sparatoria, alla Mandolossa
  • Il luogo della sparatoria, alla Mandolossa
    Il luogo della sparatoria, alla Mandolossa

Il primo ad arrivare sul luogo del delitto è un senzatetto, che spesso dorme nell’edificio vuoto dall’altra parte della strada. Il vagabondo si avvicina alla vetrina della forneria, forse per comprare qualcosa da mangiare. Chiama senza avere risposta, poi nota delle macchie di sangue e vede il cadavere di Vanna. Urla, si precipita a chiedere aiuto e ferma un’auto di passaggio per chiamare i soccorsi.

Arrivano sul posto polizia e Croce Bianca, a cui in pochi minuti si aggiunge una piccola folla di curiosi. Fin dai primi minuti, a molti torna alla mente un precedente che risale a soli 42 giorni prima, il 1° luglio 2015, quando il 43enne Arben Corri, storico pizzaiolo albanese che da vent’anni lavora per «Da Frank», viene ferito da tre proiettili al braccio e al torace, proprio mentre si sta recando al lavoro a bordo della sua Fiat Punto. Si salverà grazie a una coppia di fidanzati che, passando per via Roncadelle, lo vedono e chiamano l’ambulanza.

La Polizia scientifica per ore passa in rassegna la forneria, alla ricerca di tracce degli assalitori. Setacciano interno ed esterni, raccolgono impronte e cercano indizi, mentre fuori i bresciani iniziano, con una pietosa processione, a portare mazzi di fiori per onorare i due defunti, a cui tutti volevano bene. Nel frattempo, su Facebook, si sta organizzando una fiaccolata a cui due giorni dopo partecipano un migliaio di persone.

L’assassino in tv

È proprio mentre gli investigatori passano al setaccio la pizzeria, che subito fuori il pakistano Muhammad Adnan - titolare del «Dolce e salato», rivale di Frank nella vendita di dolci e pizzette - decide di parlare con i giornalisti, a favore di taccuini e microfoni. Dismessi i panni del killer, infila quelli del commerciante vessato dalla criminalità e abbandonato dallo Stato. Poco dopo aver premuto il grilletto per quattro volte, dice ai cronisti: «Questa zona fa schifo, qua di notte ci sono un sacco di spacciatori. Io ho chiamato tante volte la Polizia, ma mi ha sempre risposto male». E sull’omicidio dichiara: «Sono arrivato alle 11 e non ho sentito e visto niente. Frank non mi conosce, io lo conosco solo di nome».
Più enigmatica invece la figura del suo complice, Sarbjit Singh, che non vive nemmeno a Brescia e che è stato assoldato come palo. La sua presenza gli avrebbe dovuto fruttare 12mila euro di ingaggio, di cui 1.500 già incassati.

Gli arresti

  • L'arresto di Singh e Adnan
    L'arresto di Singh e Adnan
  • L'arresto di Singh e Adnan
    L'arresto di Singh e Adnan

La svolta nelle indagini arriva pochi giorni dopo, nel giorno di Ferragosto, quando gli uomini della Squadra Mobile di Brescia mettono le manette ai polsi di Adnan e Singh: è l’ora di pranzo e i due vengono intercettati per strada a Casazza, nella Bergamasca, a pochi chilometri dal lago di Endine. Gli inquirenti risalgono a loro grazie alle immagini raccolte dalle telecamere di videosorveglianza installate vicino alla pizzeria «Da Frank», che hanno fornito indicazioni decisive sulla targa dello scooter. Portati in carcere a Canton Mombello, ammettono di aver ucciso per invidia e «concorrenza sleale». Adnan dice: «Vendeva più di me».

Il 26 agosto 2015 la polizia arresta i due complici dei sicari, entrambi di origine indiana: sono Santokh Singh detto Vicky, di casa a Mairano nella Bassa, e Gurgjit Singh detto Jetta, di Robecco d’Oglio (Cremona), accusati di aver contribuito alla realizzazione del piano criminale procurando l’arma del delitto e nascondendo gli assassini. A loro si aggiunge Jasfir Lal, accusato di ricettazione del fucile.

Il processo

Dopo il processo con rito abbreviato, a luglio 2016 i due esecutori materiali del duplice omicidio vengono condannati all’ergastolo, sentenza che verrà confermata in Appello a settembre del 2017 e poi in Cassazione nell’ottobre del 2018. Pena di 19 anni per Vicky e 6 anni per Jetta. Lal, invece, è stato prima condannato a 5 anni e quattro mesi per ricettazione, ma poi assolto dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano. Nelle motivazioni della sentenza, la Cassazione ha definito Adnan «l’ideatore del fatto, con propositi omicidiari e manifestazioni degli stessi ampiamente in grado di rappresentare l’elemento cronologico e quello ideologico della premeditazione». Aggravante contestata anche al complice, l’indiano Singh, perché «avrebbe avuto tutto il tempo di ravvisarsi anche solo il giorno stesso del fatto quando ha visto comparire il fucile».

A giugno del 2020, l’ultimo scioccante risvolto della vicenda: cinque anni dopo il tragico 11 agosto 2015 Muhammad Adnan ha chiesto la grazia al Presidente della Repubblica per il duplice omicidio di Francesco Seramondi e della moglie Giovanna Ferrari.

L’eredità di Frank e Vanna

Marco Seramondi, figlio di Frank e Vanna, posa con il ritratto dei genitori - © www.giornaledibrescia.it
Marco Seramondi, figlio di Frank e Vanna, posa con il ritratto dei genitori - © www.giornaledibrescia.it

Il ricordo dei coniugi Seramondi resta vivo ancora oggi nei cuori dei bresciani, che in questi anni hanno continuato a frequentare la pizzeria. Il figlio Marco Seramondi, che ora dirige l’attività di famiglia gestendo il punto vendita, dietro al bancone tiene un ritratto dei genitori: «Vivono in noi e nei nostri cuori». La stessa immagine, ora, l'ha tatuata sul braccio e parlando di loro, commosso, ammette: «Li sogno spesso e al risveglio, ogni volta, mi si spezza il cuore».

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