Come siamo arrivati al diciassettesimo processo per la strage di piazza Loggia

Secondo l'accusa Roberto Zorzi avrebbe piazzato la bomba nel cestino il 28 maggio 1974. Fu arrestato e rilasciato subito dopo lo scoppio
Piazza Loggia il giorno della strage
Piazza Loggia il giorno della strage
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Il diciassettesimo, almeno per il momento, processo per la strage di piazza Loggia inizierà il 29 febbraio davanti alla prima Corte d’assise. Lo ha stabilito il giudice dell’udienza preliminare Francesca Grassani rinviando a giudizio, per concorso nell’attentato che provocò la morte di otto persone e il ferimento di altre 102, Roberto Zorzi, settantenne originario della Valpolicella, che all’epoca dei fatti aveva una marcata preferenza per gli ambienti neofascisti veronesi. Zorzi vive da anni negli Stati Uniti. Ha ottenuto la cittadinanza statunitense. Alleva cani dobermann nello stato di Washington.

L’accusa

Secondo i pm Silvio Bonfigli e Caty Bressanelli, l’allora 21enne marcantonio veronese - descritto come un tipo dai modi bruschi, magari non simpaticissimo e, supportato dalla sua mole, anche incline alla violenza - è stato esecutore materiale dell’attentato in concorso con l’allora minorenne Marco Toffaloni, che sarà lunedì prossimo in udienza preliminare.

Contro Zorzi i titolari della sesta inchiesta sulla strage hanno raccolto alcuni elementi di prova sui quali si animerà il diciassettesimo dibattimento sulla strage.

Zorzi finì già all’epoca nell’occhio delle indagini. Fu arrestato nell’immediatezza dell’esplosione e rimase in caserma 16 ore, ma poi fu rilasciato. Decisivo fu l’alibi confermato dalla figlia del titolare del bar della stazione dei bus di Verona che disse di aver visto Zorzi la mattina della strage al solito posto, seduto nel suo locale.

Roberto Zorzi, nel 1974 aveva 21 anni © www.giornaledibrescia.it
Roberto Zorzi, nel 1974 aveva 21 anni © www.giornaledibrescia.it

Una decina d’anni fa, la ragazza di allora divenuta nel frattempo donna, è stata risentita nell’ambito dell’inchiesta che ha portato il veronese a processo e non ha confermato quello che aveva detto all’epoca. Non è stata in grado di riconoscere Zorzi e di ricordare quell’episodio, il che per la Procura è indice di un alibi falso, se non addirittura falsificato da quella malavita istituzionale - per dirla con la sentenza di condanna all’ergastolo al mandante della strage - che per anni avrebbe assicurato impunità a tanta parte dei responsabili.

A chiamare in causa Roberto Zorzi, amico dei neofascisti bresciani e presente a Brescia ai funerali di Silvio Ferrari - il giovane bresciano saltato in aria in piazza del Mercato qualche giorno prima della strage di piazza Loggia mentre trasportava un ordigno con la sua Vespa -, è la superteste di questa inchiesta, una donna che all’epoca frequentava Ferrari e gli ambienti di estrema destra. Nel 2013, la teste ha detto agli inquirenti di aver sentito Zorzi in pizzeria a Brescia, parlare di un attentato da compiere a breve.

Le reazioni

«Siamo soddisfatti - ha commentato il procuratore aggiunto Silvio Bonfigli - noi chiedevamo il processo e il processo abbiamo ottenuto. Dimostreremo che le prove raccolte sono solide».

«Una vicenda di questa complessità - gli fa eco l’avvocato di parte civile Michele Bontempi - soprattutto con riferimento alla fase esecutiva della strage, che è rimasta inesplorata dalla sentenza di condanna all’ergastolo di Maggi e Tramonte, ha bisogno della sua naturale sede. Serve il dibattimento, per far parlare le prove».

Nonostante il rinvio a giudizio la difesa di Roberto Zorzi è fiduciosa. L’avvocato Stefano Casali ritiene che il 29 febbraio inizierà un processo in grado di dimostrare l’innocenza del suo assistito. «Siamo fiduciosi che in quella sede - ha commentato a caldo - con un’ampia istruttoria e una valutazione approfondita delle prove si arrivi a dimostrare che Zorzi con l’esecuzione della strage non ha avuto nulla a che vedere». Lo vedremo in aula? «Se servirà alla sua difesa lo faremo venire» ha concluso l’avvocato Casali.

Soddisfatto Manlio Milani, presidente dell’associazione famigliari delle vittime di piazza Loggia. «Una decisione importante - ha detto - perché si reputa indispensabile un confronto per ampliare ulteriormente la conoscenza su quanto accaduto il 28 maggio del 1974. C’è la volontà di non voler lasciare cadere nulla, di capire responsabilità e coperture. Questo processo avrà un grande valore, ci permetterà di conoscere quei rappresentanti della malavita istituzionale che hanno depistato per decenni».

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