Caffaro, ecco i problemi aperti sul tavolo di Procura e azienda

Nessuno lo dice in modo esplicito, ma nella cittadella industriale di via Nullo, epicentro del Sito di interesse nazionale Caffaro, tutto (letteralmente) ora dipende dalla delicatissima partita a scacchi che si sta consumando tra la Procura e la Caffaro Brescia, l’azienda oggi in liquidazione che sta via via traghettando il suo «addio» alla città, previsto in via definitiva entro ottobre (anche se i macchinari per la produzione sono spenti ormai da mesi). Ed è in questa partita che si giocano i problemi aperti, e più urgenti, di Caffaro.
Nel giorno dell’insediamento del neocommissario Mario Nova - portamento british, concretezza di chi ha trascorso la vita professionale da dirigente nella pubblica amministrazione, un passato prossimo alla direzione generale dell’Ambiente in Lombardia - tutti gli occhi sono puntati sull’epilogo che dovrebbe consumarsi nell’arco di «poche settimane»: l’intesa (o lo strappo) tra Procura e azienda. Non è un caso se durante la conferenza stampa di ieri a Palazzo Loggia - con tanto di collegamento streaming con Roma - nessuno ha accennato minimamente alla tempistica. Anzi, tutti hanno dribblato la domanda riepilogando l’iter del Progetto operativo di bonifica. Impossibile, infatti fare pronostici. Troppo diverse le due strade, troppo diverse le procedure, troppo larga la forbice temporale tra un’opzione e l’altra.
L'antefatto
La Procura ha congelato all’azienda e ai vertici indagati oltre 7,7 milioni di euro (sette milioni e 762mila euro per l’esattezza), vale a dire la cifra che, secondo i pm a capo del fascicolo Caffaro, la ditta avrebbe risparmiato in materia ambientale. Attorno a quella cifra, per capirci, girano anche l’adeguamento della barriera idraulica e la «cura» necessaria per abbattere la concentrazione di cromo esavalente. Su questo, sui 7,7 milioni «congelati» si gioca tutto. L’azienda - già diffidata dallo stesso Ministero che le imputa la responsabilità di adeguare la barriera idraulica - ha chiesto in prima battuta che i fondi possano essere svincolati: senza liquidità, infatti, le era impossibile pagare gli stipendi ai diciannove lavoratori rimasti stoicamente in servizio per mantenere in funzione la barriera anti-veleni che fa da «diga» agli inquinanti, impedendo che la contaminazione si diffonda ulteriormente in falda e terreni. Detto fatto, primo round chiuso: i 500mila euro per le buste paga ci sono.
Cosa serve adesso
Ora si tratta di sfondare il muro più alto: via i sigilli al tesoretto sequestrato in cambio dei lavori di rinforzo immediati sulla barriera idraulica. Se l’intesa andrà a buon fine, la ditta potrebbe procedere (a differenza della macchina pubblica) con l’affidamento diretto dei lavori, il che farebbe (finalmente) accelerare i tempi di intervento per un’emergenza che il dipartimento dell’Arpa di Brescia denuncia ormai dal 2014, continuando a ricordare che «la situazione è ulteriormente peggiorata». Questo scenario andrebbe a spezzare l’immobilismo dettato dalle sabbie mobili burocratiche. Per tradurlo in concreto: dal sequestro del 9 febbraio ad oggi, fatta salva una bacinella posizionata sotto la vasca dalla quale sgocciolava cromo VI, nulla è cambiato nel sito. Non solo. Se così fosse, l’adeguamento della barriera andrebbe «stralciato» dal piano operativo di bonifica. «C’è la possibilità di un impegno da parte della ditta per un intervento immediato. Il primo obiettivo è la gara, dobbiamo recuperare il tempo perduto» conferma Nova, mentre Lo Presti ricorda come l’intervento sulla diga anti-veleni abbia «una valenza di messa in sicurezza attraverso l’implementazione dei pozzi (attualmente ne funzionano a regime solo due su sette - ndr) con l’obiettivo di stabilizzare la falda». Il dg immagina che un verdetto possa arrivare «nei prossimi giorni» e si dice «fiducioso».
Cosa succede se Caffaro Brescia dice no
Lo scenario più nero è, al contrario, quello dell’eventuale niet di Caffaro Brescia a farsi carico dell’intervento. In questo caso il Progetto operativo di bonifica dovrebbe procedere in blocco ma pur inserendo il nodo barriera e dismissione del sito nella prima fase, quella prioritaria, i tempi si dilaterebbero: bisogna infatti attendere l’esito della maxi gara. Per quanto riguarda invece il cromo VI «si è valutato anche di alleggerire il carico degli inquinanti - rimarca il neocommissario -, tanto che sono stati avviati degli studi: a breve si arriverà alla chiusura della fase analitica».
Le responsabilità di Livanova
Come sta andando, infine, la ricerca delle responsabilità pregresse? In questo caso gli attori sono il Ministero e Livanova, la multinazionale con sede a Londra in cui è confluita Sorin biomedicale, condannata dalla Corte d’Appello di Milano a risarcire lo Stato per l’inquinamento. «Stiamo col fiato sul collo alla multinazionale - conferma Lo Presti - in quanto unico soggetto capiente in cui è confluita l’azienda responsabile del danno. L’obiettivo è recuperare i soldi che lo Stato sta spendendo per la bonifica».
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