Sin Caffaro, l’Arpa: «Barriera anti-veleni inefficace dal 2002»
Quella barriera anti-veleni, quella «diga» che dall’epicentro del Sito di interesse nazionale dovrebbe «separare» l’acqua dal cocktail di inquinanti di cui è impregnata tutta l’area, non è efficace dal 2002. Per diciannove anni la contaminazione ha continuato ad espandersi. E a ribadirlo, dopo un ulteriore studio accurato, è stata anche e soprattutto la relazione del 2014: la barriera «non è da ritenersi idonea, perché non copre l’intero perimetro dello stabilimento - si legge nel documento con timbro e firma dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente -: nel caso di livelli elevati della falda, tra i pozzi 4 e 7, si ha una zona con assenza di richiamo».

A ribadirlo e ricordarlo, ieri, durante l’audizione in Commissione Ambiente, è il direttore del dipartimento dell’Arpa di Brescia, Fabio Cambielli. Questa, quella dell’adeguamento del sistema di pozzi che dovrebbe fare da «filtro» alla contaminazione sprigionata dal Sin Caffaro (quella storica e quella attuale) è l’urgenza, non più rinviabile.
Cambielli lo dice chiaramente: se l’adeguamento non avverrà in tempi brevi, «non vorrei trovarmi tra qualche mese a dover comunicare che i valori elevati di cromo VI siano riscontrabili anche fuori dal Sin». Perché sì, in questa catastrofe ambientale che sembra non conoscere fine (almeno finché non ci sarà la bonifica), una notizia positiva c’è: il neoinquinamento, quello causato dalle nuove perdite di cromo, è per ora rimasto dentro i confini della cittadella industriale.
La cartina tornasole, come già anticipato, è il verdetto delle indagini condotte la prima settimana del mese, analisi che hanno conclamato come l’inquinante non abbia «scavalcato» il perimetro. Non per ora, almeno. Il numero uno dell’Arpa ha anche chiarito che «va previsto assolutamente un trattamento specifico per il cromo», anche perché, a differenza di quanto avviene per mercurio e Pcb, non esiste un presidio per questo inquinante.
L’Arpa mette in fila le priorità e le consegna alle istituzioni: potenziare la barriera idraulica in modo da riuscire a conferire anche ai pozzi situati a sud la potenza necessaria per estrarre tutta l’acqua e «separare» i veleni che altrimenti continuano a riversarsi nelle rogge, avviare una specifica azione di abbattimento del cromo e procedere quanto prima con lo smantellamento degli impianti esistenti (operazione che «vale» 14 milioni di euro). Solo a quel punto, infatti, si potranno stanare le sorgenti della contaminazione.E nel frattempo? L’Agenzia ha un cronoprogramma di sorveglianza serrato: un centinaio di campionamenti sulle acque sotterranee, il controllo dello scarico delle acque industriali nella roggia Fiumicella e dell’efficienza dell’impianto di trattamento, ai quali si aggiungono altre 50 indagini al di fuori del sito «attraverso una convenzione con il commissario straordinario, che le finanzierà». L’obiettivo - precisa Cambielli - è «verificare che nel frattempo il nuovo inquinamento dettato dal picco del cromo VI non viaggi oltre la fabbrica», andando a pesare ulteriormente su una falda già malata (anche se è bene ricordare che nulla ha a che vedere con l’acqua che esce dai rubinetti di casa, che era e resta sicura).
Perché non si è intervenuti prima e si è dovuti arrivare, quasi vent’anni dopo, a una situazione di massima urgenza? Perché nel frattempo le aziende «madrine» dell’inquinamento storico sono fallite. «La stessa Caffaro Chimica, nel 2002, dichiarò che serviva un adeguamento della barriera e fece anche un progetto, ma poi fallì - conferma il direttore di Arpa -. È chiaro che a quel punto l’Agenzia monitora e formula diagnosi, ma sta poi a chi ha la competenza intervenire». E chi ha la competenza lo si legge nello stesso nome dell’area: Sito di interesse nazionale. Ci si è concentrati sulla bonifica, che proseguirà e che è un’operazione necessaria per risolvere il problema in modo strutturale, come ricorda il sindaco Emilio Del Bono. Ma l’impressione è che nessuno, fino all’intervento della Procura, abbia davvero ascoltato (o, se lo ha fatto, lo ha sottovalutato) i ripetuti allarmi dell’Arpa e dei Comitati.
Ora non c’è davvero più spazio per i rinvii. Anche se, nel frattempo, è già trascorsa più di una settimana. E una strategia concreta ancora non si intravede all’orizzonte.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
