Che vita fa un pastore di montagna nel cuore della Val Saviore

Dalla pianura alla montagna e non viceversa, per viverci e soprattutto lavorarci, in un ritorno alle origini – anche familiari – per fare il pastore di montagna. Una storia che colpisce, ancora di più se a intraprenderla è un giovane di 24 anni, Stefano Pasinetti, che ha deciso di lasciare un lavoro sicuro come capo allevatore in un grande stabilimento della Bassa Bresciana per trasferirsi a Cevo, nel cuore della Val Saviore, sulle montagne che salgono fino alla cima dell’Adamello e che furono dei suoi nonni. E che oggi sono le sue.
Nei reportage sulla vita di montagna abbiamo già raccontato le difficoltà di viverla nella quotidianità e la ferrea volontà di una nuova generazione di «professionisti delle terre alte e delle aree interne». Sono tanti i giovani tra i 100mila che nell’epoca post-Covid sono tornati ad abitare aree da spopolamento endemico che, fino ai dati dell’ultimo Report Montagna dell’Uncem, pareva irrefrenabile. Oggi invece ci sono flebili segnali, ma comunque segnali. Di speranza.
L’azienda agricola a Cevo

Stefano Pasinetti ha da poco aperto la sua azienda agricola a Fresine di Cevo, in località Cà de Croc, lì dove il sole saluta a metà novembre e si fa rivedere a fine marzo con la primavera, e dove la brina invernale sembra sempre un leggero manto di neve. Il 24enne ha rilevato una stalla moderna e un edificio vicino che per anni è stato vissuto dai ragazzi della Comunità Exodus di don Antonio Mazzi. Il giovane se ne è innamorato, ha rilevato gli immobili e ora sogna di realizzare anche un agriturismo con qualche camera per un piccolo bed&breakfast.
L’azienda agricola si chiama «Margì», come la nonna. Quella nonna che in gioventù partiva dalla Bassa l’estate per portare le vacche in altura, in malga, a brucare l’erba buona, carica di fiori e di profumi. Per lui la Val Saviore è un ritorno alle origini, a quelle radici figurate che un nomade non può che avere nella propria cultura, nella famiglia, nel vissuto degli avi.
Una storia di famiglia
«I miei nonni hanno sempre allevato vacche, facevano su e giù l’estate dalla pianura bresciana verso le malghe della Val Saviore. Fintanto che mio papà era giovane – racconta Stefano –. Poi per vari motivi hanno smesso e si sono trasferiti definitivamente nella Bassa. La passione però è rimasta e l'hanno trasmessa anche a me. Così, dopo aver lavorato in grandi stalle di bovini, ho deciso di tornare alle origini, in questa zona, e aprire una stalla di capre».
Le capre sono l’unico elemento di discontinuità rispetto a questa storia di passione e tradizione, così come in discontinuità è la scelta della razza: nel regno della Capra bionda dell’Adamello, Stefano ha deciso di allevare le candide Saanen.

«È una scelta economica, e perché la Saanen è la capra che fa più latte in assoluto – spiega Pasinetti –, ma anche perché mi è sempre piaciuta questa razza, mi sono sempre piaciute le capre bianche, e quindi ho unito le due cose».
Come funziona la stalla
La stalla potrebbe contenere 120 capi, oggi Stefano ne ha una cinquantina con l’obiettivo di arrivare nei prossimi anni almeno a ottanta. Non di più, perché è solo, l’impegno è tanto, nonostante l’aiuto della fidanzata. Ma ogni giorno dalla mungitura delle sue capre, produce anche formaggi, nel piccolo caseificio annesso alla stalla.

«Quotidianamente produco formaggi di vario tipo, dalle caciotte fresche alle formaggelle di media stagionatura fino ai formaggi che arrivano anche ai sei o sette mesi. E poi ricotte, yogurt, panna cotte, un po' di tutto praticamente. E faccio esperimenti di tutti i tipi, – dice fiero – dagli erborinati agli speziati».
Nonostante le difficoltà quotidiane che la vita e il lavoro di montagna riservano, Pasinetti non demorde: «Dopo avere provato a lavorare sia in grandi allevamenti di pianura, sia in montagna (da studente andavo in malga a fare la stagione) ho capito che c'è tanta differenza e che sono vite diverse, ma a livello personale una scelta come quella che ho fatto io dà immensa soddisfazione, più grande delle fatiche che la quotidianità riserva».

E per chi vive e fa vivere la montagna nella quotidianità, quale è il futuro che Stefano vede? «Difficile, non posso negarlo, ma con grande speranza, riposta in quello che io e altri giovani cerchiamo di portare avanti. Speriamo ovviamente anche nel turismo, perché il turismo porta sia gente che, banalmente, soldi, ma l’impegno deve essere quello di valorizzare questi territori che comunque hanno grande potenzialità, che oggi, a mio parere, è ancora un po' poco sfruttata».
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