Von der Leyen tra droni russi e l’accordo Ue-Mercosur

Guerra batte commercio 10 a 1, se non 11 a 1. Dieci le volte in cui Ursula von der Leyen, il giorno del discorso sullo stato dell’Unione, ha pronunciato la parola guerra in riferimento alla Russia, una agli Stati Uniti. Le prime dieci preannunciano possibili, anzi – dopo l’avvertimento di Putin all’Europa con i suoi droni a scorrazzare sui cieli polacchi, non a caso all’alba dello stesso giorno – probabili tempi bui.
Perché sono bui i tempi nei quali prevale il devastare sul creare ricchezza. Scriveva Erasmus cinque secoli fa: «La pace, mediante lo scambio delle merci, pone tutto in comune. Prima della guerra, tutti i paesi erano come tuoi. Guarda il risultato della guerra, l’artigiano languisce, il commercio si interrompe». Dieci riferimenti, ma nessuna soluzione in vista. Per quanto la diplomazia possa sforzarsi, c’è di mezzo la volontà di Putin. La quale, a sua volta, dipende dalla sua mente. Un circolo vizioso.

L’undicesimo riferimento alla guerra era rivolto agli Stati Uniti. La presidente è stata sommersa da feroci critiche per l’accordo con Trump. Ma se altro fosse stato? «Immaginate quali ripercussioni avrebbe una guerra commerciale con gli Stati Uniti, quale caos ne deriverebbe».
Ha citato il commercio una sola volta, come mezzo per sviluppare rapporti con il mondo. Ma qui la soluzione l’ha indicata: «In un momento in cui il sistema commerciale globale si sta sgretolando, noi garantiamo norme globali stipulando accordi bilaterali». Tra questi spicca quello con il Mercosur. La diplomazia di Bruxelles di sforzi ne ha fatti, c’è voluto un quarto di secolo, ma infine è giunta la firma. Ad esserci di mezzo, a questo punto, è la volontà del Parlamento europeo, con voto a maggioranza semplice. Nonché quella dei governi e dei parlamenti nazionali. Perché entri in vigore è richiesta la ratifica della maggioranza qualificata dei Paesi membri.
L’accordo, definito dai detrattori «auto in cambio di mucche», eliminerà sì, nel volgere di un quindicennio, i dazi sulle auto, ora al 35 per cento. Ma pure vini e formaggi vedranno i dazi, ora al 35 e 28, azzerati. La liberalizzazione riguarderà il 91-92 per cento del commercio bilaterale, nel volgere di 10-15 anni.

Ancora, non di soli dazi si tratta, ma di regole per il rispetto delle denominazioni di origine. Ne verranno riconosciute 344. Insomma, non potrà più essere commerciato nel Mercosur il Parmesan cattiva copia dei nostri grana e parmigiano. L’accordo favorirà le importazioni nell’Ue di materie prime strategiche (terre rare), contenendo la nostra dipendenza dalla Cina. Il commercio, appunto, riduce le dipendenze, mentre aumenta le sicurezze economiche.
Per rendere l’accordo più digeribile, la Commissione ha adottato clausole di salvaguardia, a tutela degli agricoltori. Resta un fatto, si tratta sì di un accordo di libero scambio, ma controllato. Per carne bovina e pollame, ad esempio, vi sono quote del 1,5 e 1,3 per cento della produzione europea. Se superate, le esportazioni dal Mercosur saranno tassate, come oggi avviene, oltre il 40 per cento...
I Paesi membri (ma guarda un po’) sono divisi. Spagna, Germania, Olanda a favore. La Francia, con le clausole di salvaguardia, si è fatta più possibilista, ma vi regna l’incertezza politica. La Polonia è decisamente contraria. L’Italia nicchia. I sindacati agricoli sono in mobilitazione.
Siamo alla prova di quanto credibili siano i proclami anti-dazi seguiti ai provvedimenti di Trump. I dazi sono una brutta cosa. Se Trump li ha messi, non facciamo chi li mantiene. Sarebbe a nostro danno. Invece di vergognarci per una stretta di mano in un golf... evitiamo di vergognarci tutti per un gol. Auto-inflitto.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
