Dazi, più spese e meno visione: così l’Europa si inceppa

La Bce, nella riunione del Consiglio direttivo di giovedì scorso, ha tenuto fermi – come era previsto – i suoi tassi di interesse; e ciò dopo le otto riduzioni dal giugno 2024 allo scorso mese, per cui il tasso sui depositi è passato dal 4% al 2%. Infatti il tasso d’inflazione è ora al 2%, coincidente con il target della stessa Bce.

Per quanto riguarda la crescita reale, nel primo trimestre di quest’anno essa è stata nell’area euro lievemente superiore alle aspettative, ma il quadro resta eccezionalmente incerto ed i rischi al ribasso sono prima di tutto connessi ad un possibile inasprimento delle tensioni nel commercio globale.
A questo riguardo, sappiamo ora che le trattative sui dazi tra Ue e governo americano si sono concluse con la tariffa del 15% sulle importazioni di prodotti europei negli Usa (ferme restando le esenzioni relative a specifici prodotti, come acciaio o farmaceutici). È un dato certamente migliore di quel 30% minacciato da Trump per il 1° agosto in assenza di accordo; ma è comunque un multiplo del dazio in vigore sinora.
In realtà, il dazio medio sulle importazioni dall’Ue è già salito, in aprile, dal precedente 1,3% al 6,7% (ed all’8% per l’Italia); oltretutto le nostre imprese sono anche penalizzate dal deprezzamento del dollaro sull’euro (-13% dall’inizio del secondo mandato Trump). Ora la saga dei dazi pare terminata – nella speranza che l’assetto ai primi di agosto sia definitivo, circostanza non scontata, considerata l’imprevedibilità di Trump –; tuttavia, per i critici si è arrivati a questo punto perché l’Ue si è mostrata fin dall’inizio troppo remissiva (e non solo per i dazi, ma anche per la scelta di esentare le multinazionali americane dall’imposta minima del 15% concordata in sede Ocse).
Passando ora a considerare la politica fiscale, occorre segnalare una novità di rilievo: alcuni giorni fa la Commissione europea ha presentato le prime proposte per la politica di bilancio nel settennato 2028-2034. Tra le novità c’è l’accorpamento – e contestuale riduzione – delle voci relative all’agricoltura ed alla coesione; in Italia le prime critiche sono state su queste modifiche, soprattutto per quanto riguarda la spesa regionale (le cui decisioni sarebbero oltretutto centralizzate a livello nazionale).
Condivisibile è invece la proposta di rafforzare le entrate proprie dell’Ue (con nuovi tipi di imposte), come pure quella di accrescere le spese relative alla competitività, anche se non è ancora chiaro il peso che sarà assegnato alla ricerca, sempre più cruciale per competere con i giganti cinese e americano. Al di là della composizione del bilancio, è il suo ammontare che sta già suscitando dissidi. In valore monetario si tratterebbe di quasi 2mila miliardi di euro contro 1,2mila miliardi del settennato in corso (che però sale ad oltre 2mila con i fondi del Next Generation Eu, Ngeu); peraltro l’incidenza sul reddito nazionale aumenterebbe solo da 1,12% (escludendo il Ngeu) a 1,26%.
La Germania ha già fatto notare che si tratta di un aumento eccessivo, ma gli europeisti più convinti – come pure il Parlamento europeo – argomentano che è un incremento insufficiente; oltretutto le spese dovrebbero includere anche il rimborso dei primi Eurobond emessi con il Ngeu. Per di più, le politiche fiscali nazionali sarebbero aggravate dalle maggiori spese per la difesa decise in ambito Nato.

Posto che il 5% sul Pil (seppure con 1,5% allocato a spese, al momento definite in modo generico, correlate alla difesa ed alla sicurezza nazionale) è un numero con scarso fondamento teorico ed empirico e considerato che una conseguenza sarà il probabile taglio nei prossimi anni delle spese di tipo sociale, perché non si vuole cogliere l’occasione per avviare una vera spesa comunitaria per la difesa, da finanziare con debito comune? Con queste premesse, non avremo quindi una vera integrazione europea ancora per molti anni (si noti che il nuovo orizzonte di programmazione terminerà tra circa un decennio).
Ciò in aggiunta al continuo rinvio delle riforme istituzionali più cruciali, come la regola dell’unanimità per le decisioni più importanti nel Consiglio europeo: si pensi ad esempio alle continue difficoltà di ottenere un voto unanime nelle decisioni relative alle sanzioni alla Russia. In definitiva, è da escludere che l’Ue possa divenire una vera «unione» nel prossimo futuro; ciò che più addolora è che sta altresì smarrendo parte dei suoi valori fondativi: si pensi solo all’incapacità di pervenire ad una posizione chiara ed efficace riguardo a tragedie quali i crimini commessi ogni giorno a Gaza.
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