Riforma elettorale, il «governatore d’Italia» che piace a Meloni

Per convenienza delle leader dei due maggiori partiti, torna in auge il tema della riforma della legge elettorale, ma stavolta non solo per agitare il dibattito politico. La revisione del meccanismo di voto ha uno scopo molto chiaro e può soddisfare esigenze di medio periodo (le elezioni di fine 2027 che si potrebbero anticipare alla primavera di quell’anno). Il ragionamento della premier è semplice: in questa legislatura si potrà – a fatica, se ci si riuscirà – approvare il premierato forte, ma non lo si dovrà condurre in porto se non poco prima delle elezioni, così un’eventuale vittoria dei contrari all’inevitabile referendum costituzionale (la destra non ha i due terzi dei voti per evitare la consultazione) non avrà ripercussioni su chi governerà dopo le politiche.
La riforma bandiera di Fratelli d’Italia – che era iniziata come presidenzialismo o semipresidenzialismo e si è annacquata diventando premierato – è ancora oggi uno scoglio più insidioso del previsto, un azzardo più costoso del risultato. Perché Meloni, che può essere la prima della Repubblica a governare ininterrottamente per tutti i cinque anni di una legislatura completa (cosa che non è riuscita neanche a Berlusconi, perché fra il 2001 e il 2006 il Cavaliere rimase a Palazzo Chigi per quattro anni, poi ci fu la crisi provocata dai centristi e formò immediatamente un nuovo governo durato un anno, fino alle nuove elezioni) dovrebbe rischiare di cadere come Renzi nel 2016, per una riforma così poco urgente che di fatto è già realizzata a Costituzione vigente, nelle cose?

L’idea del «governatore d’Italia» è invece un approdo facile molto simile al modello che nel 1995 permise di designare i presidenti delle Regioni nella prima competizione nelle regioni ordinarie svolta con la normativa tuttora vigente (anche se leggermente variata in alcuni ambiti territoriali); allora la Costituzione non contemplava l’elezione diretta, che fu inserita nella Carta Fondamentale solo in tempo per le successive elezioni del 2000, ma intanto si fece una prova coronata dal successo. Lo scopo del premierato forte è avere il capo del partito di maggioranza relativa che va a Palazzo Chigi e ci resta per cinque anni, praticamente come fanno i presidenti delle regioni. Loro però hanno un adeguato sistema elettorale premiante, non questo per le Camere che nel 2022 non avrebbe fatto vincere nessuno se il centrosinistra si fosse unito al M5s.
Ecco che spunta, così, il premio di maggioranza simil regionale: vecchio pallino di tanti, negli ultimi anni, che scatterebbe col 40% dei voti (la Lega è avvisata: FdI ci può arrivare con solo Forza Italia e Noi moderati, in caso di divisione delle opposizioni, vincendo le prossime politiche) e distribuirebbe i seggi proporzionalmente rispetto ai posti spettanti alla maggioranza da una parte e alle minoranze dall’altra (niente collegi uninominali che darebbero più peso a Salvini o a Conte, tanto per capirsi). Ma soprattutto indicazione del candidato presidente del Consiglio sulla scheda elettorale (come nel 2006 si fece con Prodi e Berlusconi) che taglierebbe fuori ogni concorrenza e ogni tentazione di «staffette» (soprattutto a sinistra, dove Conte potrebbe dare il via libera a Schlein soltanto in cambio di un avvicendamento a Palazzo Chigi a metà legislatura).
Anche la proporzionale darebbe a Fratelli d’Italia e al Pd il peso che desiderano avere: preponderante sugli alleati, doppio rispetto al M5s nel caso dei democratici, triplo su Lega e forzisti nel caso dei neomissini. Certo, per Schlein la riforma elettorale potrebbe essere rischiosa perché, per raggiungere il 40% dei voti, non basterebbe certo un’intesa (già difficile) fra Pd, Avs e centristi (tutti insieme sono oggi intorno al 38%), quindi i pentastellati sarebbero determinanti e farebbero pesare parecchio il loro ingresso nel «campo largo» (così come potrebbero porre condizioni che farebbero uscire i centristi ricacciando l’alleanza sotto quota 40%). Però, per il Pd, l’unica cosa che si può fare è cercare di guadagnare tempo e terreno, in vista di quella che appare una traversata nel deserto ben oltre il 2027.
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