Pasquino: «Il premierato è sbagliato e toglie potere agli elettori»

Doppia tappa bresciana per Gianfranco Pasquino. Il professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna sarà stasera a Salò (ore 20.30, Auditorium Ceccato, all’istituto Battisti) e domani a Brescia (alle 18, all’Auditorium della Fondazione Ds, in via Metastasio 26). Pasquino affronterà il tema «Le democrazie e le sue riforme», prendendo spunto dal suo ultimo libro «In nome del popolo sovrano. Potere e ambiguità delle riforme in democrazia» (Egea Editore, 168 pp., 18 euro)
Professor Pasquino, qual è il senso di questo suo nuovo volume?
Le riforme sono necessarie, se ne parla spesso, se ne faranno ancora, e alcune sono già in Parlamento, come quella proposta da Giorgia Meloni sul premierato. Si discute di legge elettorale perché quella attuale è brutta, e si parla anche del ruolo del Presidente della Repubblica. È necessario affrontare questi temi con le coordinate giuste e la conoscenza della storia costituzionale italiana.
A proposito di premierato, in questi due anni abbiamo assistito a continui stop-and-go. È davvero necessaria questa riforma, visto che oggi il governo ha comunque una maggioranza solida e opposizioni divise?
Secondo me non solo non è necessaria, ma così com’è impostata è proprio sbagliata. Primo: Meloni sostiene che fosse nel programma di Fratelli d’Italia, ma non è vero, perché nel programma si parlava chiaramente di presidenzialismo, cosa molto diversa. Secondo: questa riforma inganna gli elettori, perché darebbe loro solo un potere parziale, visto che il premier potrebbe comunque essere cambiato dalla maggioranza parlamentare. Terzo: eleggere direttamente il capo del governo non significa affatto dare più potere ai cittadini, anzi, glielo toglie subito dopo il voto, quando tutto il potere resta nelle mani del premier.
Crede che comunque riusciranno ad approvarla entro questa Legislatura?
Non sono un astrologo, ma immagino che Giorgia Meloni cercherà di approvarla poco prima della fine della legislatura. Così facendo, il probabile referendum costituzionale avverrebbe nella Legislatura successiva, dopo una possibile sua rielezione. Questo scenario mi sembra il più plausibile.
Professor Pasquino, volgendo lo sguardo all’Europa. La democrazia europea è sotto pressione, sia esternamente – penso alle ingerenze russe – sia internamente, con forze eversive come Alternative für Deutschland. Lei che quadro vede?
Bisogna distinguere. La democrazia dell’Unione Europea esiste e funziona, certo non è perfetta, ma comunque funziona bene nelle sue istituzioni. Diversa è la situazione nei singoli Paesi europei, dove la qualità della democrazia dipende dalla salute dei partiti politici. Dove i partiti funzionano bene, la democrazia è solida; dove invece sono deboli o mal funzionanti, sorgono problemi. In Romania i partiti sono molto fragili e questo genera instabilità, ma attenzione: problemi interni non significano automaticamente crisi della democrazia. L’unica vera crisi democratica la vedo in Ungheria, dove Orban sabota deliberatamente le istituzioni democratiche per mantenere il potere.
E in Germania, riguardo al fenomeno AfD, che di democratico ha ben poco, come bisognerebbe reagire?
AfD è chiaramente un fenomeno grave, antidemocratico. Va contrastato con tutti gli strumenti che la democrazia mette a disposizione, a partire dal controllo costituzionale. Se AfD violasse la Costituzione tedesca, la Corte costituzionale avrebbe tutto il diritto, ad esempio, di bloccare i finanziamenti pubblici al partito. Sono interventi previsti e assolutamente democratici.

Torniamo in Italia, professore. Restano aperti altri due grandi temi: la riforma della legge elettorale e l’autonomia differenziata. Che opinione ha a riguardo?
Sull’autonomia differenziata è evidente che sia una richiesta della Lega per favorire soprattutto le regioni del Nord rispetto al Sud. Se si prende come riferimento la spesa storica, il vantaggio è già nelle mani del Nord. Ci sono però problemi costituzionali evidenti e forti resistenze anche all’interno della stessa maggioranza. Comunque sia, non è questa la soluzione, ma certamente non si può nemmeno rimanere fermi. Una riforma delle regioni è necessaria.
Quanto alla legge elettorale, siamo davvero lontani dalla soluzione. Tutti concordano che quella attuale funzioni male, ma nessuno sembra sapere bene che cosa vuole. Una buona legge elettorale dovrebbe avere un solo criterio: dare realmente potere agli elettori. Non è detto che debba necessariamente garantire stabilità di governo o prevedere le preferenze, che possono esserci o no. Le esperienze europee ci mostrano che possono funzionare bene una legge elettorale proporzionale pura o un modello come quello francese. Il punto è avere chiaro l’obiettivo: più potere ai cittadini.
Infine, professore, il suo volume si intitola «Nel nome del popolo sovrano». Questa formula mi fa subito pensare al populismo, che spesso si appropria proprio di quella espressione.
La frase «Nel nome del popolo sovrano» deriva dall’articolo 1 della nostra Costituzione, che però chiarisce subito che questa sovranità deve essere esercitata «nelle forme e nei limiti della Costituzione». Il populismo ignora sistematicamente sia le forme che i limiti costituzionali. È vero che una striscia di populismo è presente in tutte le democrazie - ad eccezione forse del Regno Unito, dove la sovranità risiede chiaramente nel Parlamento - ma il punto fondamentale è garantire che la sovranità popolare sia espressa attraverso strumenti democratici chiari: una buona legge elettorale, il rispetto delle norme costituzionali, e il ruolo della magistratura e della Corte Costituzionale, che devono far rispettare quei limiti.
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