Fallimenti, chiusure, liquidazioni: serve una reazione di sistema

Brescia è uno dei territori più produttivi d’Italia. Grazie a lavorazioni di nicchia e di alta qualità godiamo di un’ottima reputazione anche nel resto d’Europa. Non a caso, un paio di settimane fa, il quotidiano Le Monde ha dedicato al nostro sistema manifatturiero un’intera pagina dell’edizione parigina, riportando le preoccupazioni di alcuni imprenditori locali messi di fronte alle pesanti difficoltà della Germania, il più grande acquirente di prodotti made in Brescia.
«Siamo all’alba di una nuova crisi che potrebbe avere implicazioni simili a quelle che in passato hanno spazzato via dalla nostra provincia aziende a basso valore aggiunto» è stato il loro pensiero comune, rivivendo probabilmente anche solo per un attimo le fasi drammatiche che alcuni anni fa hanno causato lo smantellamento del comparto tessile nell’Ovest o dei casalinghi in Valtrompia.
In effetti, stiamo assistendo a una fase di cambiamento profonda e improcrastinabile, segnata da una nuova concezione di industria, da una rimodulazione delle catene globali del valore, dalla transizione dall’auto a motore endotermico a quella a propulsore elettrico, dalla prepotente offensiva cinese e dalla necessaria adozione di moderne tecnologie (leggi anche Intelligenza artificiale).
«Brescia, in questo contesto, deve cercare di fare sistema davvero e non adottare l’inefficace “filosofia del giorno dopo”, sviluppando invece progetti che superino il modo di pensare e i confini provinciali e che guardino a orizzonti ampi – ha esortato il prof. Claudio Teodori dal palco del Teatro Grande durante il Galà dei Bilanci –: non si può più pensare a piccoli passi incrementali ma bisogna effettuare un balzo in avanti con visione almeno europea, che rimetta totalmente in discussione il passato, perché non è sufficiente fare del nostro meglio; a volte dobbiamo fare ciò che è necessario».
I casi della Prandelli, della Filartex e della Stanadyne hanno genesi diverse, ma la loro concomitanza temporale riporta alla memoria i giorni nefasti dell’ultima drammatica crisi economica registrata prima della pandemia, a cavallo tra il 2009 e il 2010, ponendo Brescia davanti a delle questioni cruciali per il suo futuro.
In primis: come verranno reintegrati nel mercato del lavoro i duecento dipendenti vittime delle tre vertenze di cui sopra? E se nei prossimi mesi ci saranno altri licenziamenti, oltre all’utilizzo degli ammortizzatori sociali quali altri strumenti si potranno prendere in considerazione?
Vi è anche da chiedersi: perché oggi molti laureati bresciani abbandonano la nostra città per lavorare all’estero nonostante la forte carenza di alte competenze lamentate dalle imprese?
E poi, perché, ancora una volta, un operatore straniero (dopo Medtronic, Gkn, Whirlpool, Rothe Erde, solo per citarne alcuni) è disposto a liberarsi del patrimonio industriale storicamente custodito nelle nostre fabbriche per andare a investire altrove?
Se Brescia vuole crescere ancora deve trovare la consapevolezza del proprio valore, dando anche per tempo, e non più il giorno dopo, una risposta ai suoi limiti.
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