Referendum, per il centrosinistra «è una sconfitta, ma non totale»

L’affluenza nazionale si è fermata al 30,6%. Quella regionale è in linea, quella del Bresciano è addirittura più bassa: 26,6%. I dati dei referendum dell’8 e 9 giugno non possono far sorridere i partiti che si sono schierati a favore del «Sì». Anche se «non è una sconfitta su tutta la linea», precisano. Nessuna Caporetto dunque. Bisogna accettare di aver perso, ma anche capire da quali basi ripartire. In parlamento o nelle piazze. In città come nei paesi.
Il Partito democratico
«Puntavamo a prendere più voti di quelli ottenuti dal centrodestra alle politiche e ci siamo riusciti: 15 milioni adesso contro i 12 del 2022», spiega il segretario provinciale del Partito democratico Michele Zanardi. Che poi aggiunge: «C’è spazio per costruire un’alternativa, ma dobbiamo riprenderci quei luoghi dove non riusciamo a stabilirci, dove la gente è sempre più disillusa e disinnamorata: le aree periferiche della nostra provincia. Abbiamo l’obbligo di costruire qualcosa di diverso. Non possiamo pensare di rubare voti a Fratelli d’Italia, se vogliamo vincere dobbiamo stimolare chi non crede più nella politica. E, come si vede da questi risultati, sono in molti». Ma come si fa? «Continueremo a lavorare sul salario minimo, sul piano casa, proporremo nuove politiche per la scuola e battaglieremo per la sanità e per i trasporti».
Ok, quindici milioni di voti, ma il quorum è rimasto comunque lontano. «Questo però non delegittima il referendum e comunque non darei una lettura completamente negativa dei risultati –spiega il deputato bresciano del Pd Gian Antonio Girelli –. Vorrei poi ricordare a chi esulta, che l’attuale presidente della Lombardia è stato eletto con meno del 50% di affluenza. Chi ha a cuore la partecipazione democratica dovrebbe fare degli appelli al voto, non invitare all’astensionismo». Il referendum non ha portato i risultati sperati. Adesso si deve tornare a pensare a un confronto parlamentare, che a Girelli appare però difficile. «Questo voto e questo risultato devono essere stimoli per la classe politica – precisa il deputato –. È evidente che da parte di chi governa, se si esclude Forza Italia per la cittadinanza, non c’è stata la minima apertura al dialogo sui temi dei quesiti. Il mio auspicio è che si possa aprire una stagione di dialoghi, confronti e proposte».
Non è così speranzoso il senatore bresciano del Partito democratico Alfredo Bazoli. «Non credo sia questa la legislatura nella quale si possa riuscire a raggiungere qualche obiettivo. Perché questi sono temi totalmente estranei all’agenda della destra. Noi non abbiamo i numeri: in questo momento non abbiamo grossi margini di manovra».
Tornando ai dati: un risultato annunciato. «Si sapeva che sarebbe stato difficilissimo raggiungere il quorum perché erano referendum scarsamente reclamizzati sui media, ma anche molto complicati dal punto di vista tecnico. Sui quali c’è stato poi un evidente ostracismo da parte di una parte consistente del mondo politico: era abbastanza inevitabile che finisse così. Non attribuirei chissà quale valenza politica al risultato referendario. Certamente ha segnalato che comunque c’è un’attenzione su certi temi. D’altronde circa 15 milioni di persone sono andate a votare».
Sinistra Italiana
Il sentimento di Sinistra italiana è pressoché lo stesso. E dopo una sconfitta si cercano i risvolti positivi. Anche se c’è da fare i conti con un «No» alla cittadinanza che ha raggiunto percentuali inaspettate. «Il mancato raggiungimento del quorum ci amareggia e segna l’ennesimo preoccupante segnale di disaffezione delle cittadine e dei cittadini dalle forme di partecipazione –evidenzia il segretario provinciale bresciano Luca Trentini –. Sapevamo bene che questa sarebbe stata una scommessa molto difficile ed è innegabile che non siamo riusciti a far percepire alle e agli elettori l’importanza di questi quesiti referendari. Ma la chiamata del governo all’astensione è stata del tutto irresponsabile.Tuttavia milioni di persone hanno sostenuto i diritti di cittadinanza e la necessità di riequilibrare i rapporti fra capitale e lavoro, oggi del tutto sbilanciati a favore del capitale».
Si prova dunque a tracciare una strada da percorrere. «Siamo convinti che solo su temi come questi sia possibile costruire una alternativa alle destre – prosegue Trentini –. Appare infatti grottesco il tentativo del governo di arruolare al centrodestra la maggioranza che si è astenuta ritenendo che il fallimento dei referendum rafforzi il governo. Il 30%dei cittadini votanti sono un segnale che non li deve lasciare tranquilli».
Movimento 5 stelle
«Non starei tranquillissimo», una frase che utilizza anche Ferdinando Alberti, segretario provinciale del Movimento 5 stelle. Il riferimento è alla premier Giorgia Meloni. I pentastellati avevano indicato quattro «Sì» per il lavoro, mentre per la cittadinanza avevano lasciato libertà di voto. «Il quorum non è stato raggiunto, ma comunque il 30% degli italiani ha deciso di andare a votare – precisa Alberti –. Il Paese comunque ha dato un messaggio. Se dovessimo fare una coalizione vera, senza il terzo polo, probabilmente riusciremmo a governare».
Ma per Alberti c’è anche un altro aspetto. «Per me tutti i voti referendari sono voti politici – spiega –. Su questo referendum il Pd ha messo pesantemente il proprio marchio e probabilmente questo ha influito su tutte le persone che non si identificano nella maggioranza, ma sono comunque distanti anche dal Pd. Questo risultato ci ha confermato che la nostra politica ha delle lacune. L’elettorato ha sempre ragione, anche quando non va a votare. Credo però che adesso sia difficile trovare una soluzione: probabilmente non riusciremo ad intercettare queste persone per molti anni, finché non arriverà un altro soggetto politico».
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