Referendum, il quesito sulla cittadinanza si rivela il più fragile

Il quesito che doveva rappresentare la «fiaccola olimpica» di queste consultazioni si è infranto rovinosamente contro la realtà delle urne. Quello di dimezzare i tempi d’attesa per ottenere la cittadinanza doveva essere il tema d’appeal, il «gran richiamo alla partecipazione», invece si è riscoperto anello debole, il proposito (perché tale è rimasto) più fragile di tutti.
Per +Europa, promotore della riforma bocciata, non si può parlare di sconfitta. La ragione la spiega il coordinatore provinciale Davide Bresciani: «Il mancato quorum – dice – non toglie nulla alla forza, alla dignità e al valore politico di chi ha scelto di battersi per ciò che riteneva giusto. Il lavoro svolto è stato prezioso: abbiamo riportato un tema fondamentale al centro del dibattito pubblico, riattivando il confronto». Solo che questo confronto ha restituito esito negativo. «Ciò che è giusto – ribatte a chi avvia il processo al referendum – continua ad esserlo, anche quando non ottiene subito un risultato formale. L’astensione ha vinto spinta dalla disinformazione e dai calcoli politici. Nei prossimi giorni +Europa, insieme a chi ha sostenuto il referendum, presenterà in Parlamento una proposta di legge: la normativa attuale è ingiusta, non ci fermiamo qui».
Lo scenario
Il punto in cui si trova questa storia, però, è un altro. Il rischio (ora che, addirittura tra chi si è preso la briga di andare a votare, i «no» alla cittadinanza in cinque anni tocca picchi del 40%) è che si cavalchi il tema al contrario, con il centrodestra risospinto sempre più a destra senza equivoci di conveniente e fasulla centralità, il centro nel suo eterno fortilizio e la sinistra che su questo fronte dimostra di avere un problema quantomeno di dialogo con il suo elettorato. Luca Trentini, che guida la Sinistra italiana a Brescia, lo riconosce: «Il dato è significativo. Ma non stupisce dato il clima di razzismo strisciante e le quotidiane campagne che demonizzano il migrante messe in campo ad ogni livello dalle destre. Noi siamo da sempre favorevoli allo ius soli e non ci rassegniamo alle derive xenofobe. Ma forse sarebbe opportuno aprire una riflessione sull’opportunità dello strumento referendario quando lo si usa per i diritti delle minoranze».
Il centrodestra
La Lega, che sulla battaglia contro l’immigrazione ha costruito il suo status politico, torna per un attimo a respirare il consenso degli anni di gloria: «Il segnale sul referendum per la cittadinanza è stato chiaro: per gli italiani non è un automatismo, né un regalo. È un traguardo che richiede integrazione vera – scandisce Simona Bordonali –: non bastano gli anni di residenza, serve conoscere, rispettare e condividere la storia, la cultura e le leggi del Paese che ti accoglie. Il partito di Matteo Salvini si fa trovare pronto: non recalcitrante ad ammettere che un «problema esiste», ma rapido nell’indicare che il punto sta nel meccanismo: «I tempi vanno rispettati. Se la legge prevede dieci anni per la cittadinanza, non possono diventare quindici. Il problema della burocrazia va affrontato con decisione, ma vale per tutti: non riguarda solo la cittadinanza». Questa bocciatura netta del quinto quesito inguaia anche i moderati della coalizione di governo: gli azzurri, che proprio alla vigilia del referendum erano tornati a proporre lo ius Italiae.
Adriano Paroli lo esplicita senza barocchismi: «Deve essere chiaro che la cittadinanza non è un diritto da acquisire, è lo Stato che, verificati i requisiti, sceglie di concederla: questa è la realtà. Diversa è la questione di chi nasce, cresce e studia in Italia: si tratta di giovani che fanno parte della comunità, che si sentono e vogliono essere italiani. È un tema serio, che va però affrontato in Parlamento: per questo si è proposto lo ius Italiae. Certo, di sicuro questo referendum ora non ci aiuterà a portare avanti questa opzione nel centrodestra...».
Resta il fatto che il referendum sulla cittadinanza avrebbe dovuto restituire dignità pratica a un tema rimasto per anni in fondo alle agende politiche di tutti. È finita con una partecipazione tiepida e una sconfitta silenziosa. Lasciando l’astensione a risolvere la questione.
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