Violenza di genere, i casi e i processi aperti di Brescia

Il femminicidio di Giuseppina Di Luca è solo l'ultimo di 22 in dieci anni: i problemi culturali e i numeri della città
Il muro delle bambole contro la violenza di genere in via Lattanzio Gambara, di fronte al Palazzo di Giustizia - Foto © www.giornaledibrescia.it
Il muro delle bambole contro la violenza di genere in via Lattanzio Gambara, di fronte al Palazzo di Giustizia - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Per capire la violenza di genere non basta snocciolare i numeri dei femminicidi né i fascicoli aperti per Codice Rosso, la legge italiana che nel 2019 ha introdotto corsie preferenziali per le denunce e le indagini di questi casi. Il problema di fondo, come continua a ripetere chiunque conosce bene il tema, è culturale e sociale, anche in tutti i casi e i processi ancora aperti di Brescia.

Perché succede che spesso il violento o l’assassino è un uomo – il partner, il marito, il compagno, l’ex, il padre – che non accetta la volontà di una donna e finisce per aggredirla, maltrattarla fisicamente e verbalmente, perseguitarla, ucciderla, come accaduto il 13 settembre a Giuseppina Di Luca ad Agnosine, in Valsabbia, accoltellata a morte dall'ex marito da cui aveva deciso di separarsi. Oppure è qualcuno che uccide una donna in quanto donna, come Andrea Pavarini, condannato all'ergastolo per aver violentato e ucciso a calci e pugni Francesca Fantoni, affetta da un ritardo cognitivo. Entrambe le dinamiche attraversano le storie delle 22 donne uccise dai loro partner o in quanto donne negli ultimi dieci anni soltanto nella nostra città.

I processi aperti per femminicidio

Nel 2021 sono due i processi in corso a Brescia per femminicidio, altri due devono iniziare, uno si è concluso. In aula si è già presentato Gianluca Lupi, quarantunenne che a maggio 2020 a Milzano ha ucciso a coltellate la moglie di 39 anni Zsuzsanna Mailat, e il 7 settembre è iniziato il processo di primo grado per l’omicidio di Viktoriia Vovkotrub, che vede imputato l’ex compagno Kadrus Berisa. Deve ancora iniziare quello di Mina Safine, morta per ustioni riportate durante un incendio in casa che si ipotizza appiccato dal marito, e poi sarà il turno di Paolo Vecchia, l’ex di Giuseppina Di Luca. Infine, a giugno è stato condannato all’ergastolo Andrea Pavarini, autore dello stupro e della morte di Francesca Fantoni.

Quanti uomini violenti finiscono in carcere a Brescia

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Messi a fuoco sulla violenza di genere - novembre 2020

Da gennaio a settembre 2021 sono stati aperti 833 fascicoli dal dipartimento soggetti deboli della Procura di Brescia, composto da sei pm e coordinato dal procuratore aggiunto Silvio Bonfigli. Per 312 di questi è partita la richiesta di archiviazione – per infondatezza della notizia di reato, mancanza di condizioni e altri motivi –, mentre per 107 sono scattate le istanze di misure cautelari: 89 in carcere e 18 ai domiciliari. Praticamente dieci al mese. I numeri del 2020 sono simili: 1.002 fascicoli aperti, 729 le richieste di archiviazione, 362 quelle di rinvio a giudizio, 105 tra arresti e richieste cautelari in cella. «Per quanto riguarda il Codice rosso Brescia è quarta in Italia per numero di inchieste e viene subito dopo le grandi città» ha detto Silvio Bonfigli. Secondo il procuratore aggiunto, l’aumento delle denunce dal 2019 (anno in cui è entrato in vigore il Codice Rosso e la Procura aveva aperto 421 inchieste, la metà del 2021) si spiega in due modi: il primo è che il lockdown ha peggiorato la situazione, costringendo a convivenze prolungate con uomini violenti; il secondo, che «c'è maggior consapevolezza della potenzialità della legge e oggi molte donne denunciano».

Le segnalazioni alla Casa delle Donne

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VIOLENZA DI GENERE, UN DRAMMA ANCHE BRESCIANO

Dal 1989 in via San Faustino 38, in centro a Brescia, opera Casa delle Donne, un’associazione nata per dare supporto psicologico e legale alle donne vittime di violenza. «Ogni anno accedono alle nostre strutture tra le 400 e le 500 donne maltrattate, alle quali garantiamo riservatezza e che aiutiamo a capire cosa possono fare – spiega Viviana Cassini, presidente di Casa delle Donne di Brescia –. Dall’inizio del 2021 abbiamo avuto circa 220 accessi a Brescia, mentre a fine luglio ne abbiamo contati 90 al centro antiviolenza “Chiare Acque” di Salò e altri 45 al “VivaDonna” di Gardone Valtrompia. In totale le chiamate sono state 350».

Il problema è culturale

«Ci sono ancora giudici, uomini e donne, che chiedono alle vittime di violenza come erano vestite e perché non hanno urlato per chiedere aiuto – dice l’avvocata Cristina Guatta, che ha seguito fra gli altri anche il caso di Anna Mura come parte civile –. Ma il problema non è solo della giustizia, che peraltro sta facendo passi avanti su questo tema grazie a una formazione specifica dei professionisti. Il problema sta anche nelle dichiarazioni come quelle del sindaco di Agnosine, che commenta il femminicidio di Giuseppina Di Luca dicendo che lei e il marito erano due grandi lavoratori. Ma cosa c’entra con l’omicidio?».

Un brav’uomo, un ragazzo tranquillo, una famiglia normale. E lei è innanzitutto mamma, moglie, chiamata solo per nome, oppure incauta e ingenua perché indossava una gonna troppo corta, perché alla fine se l'è andata a cercare. Questi stereotipi, insieme a tanti altri, hanno contribuito negli anni a creare una narrazione sbagliata dei femminicidi anche da parte dei giornali, che spesso li fanno scadere nel racconto di amori malati finiti male, e l'idea diffusa che in qualche modo il femminicidio possa essere giustificato - dalla follia, dai raptus, dai litigi esasperati. «Ma non è amore quello che porta al femminicidio. Per questo non sarà solo l'inasprimento delle pene a salvare le donne – continua Guatta –. Dobbiamo partire da un’educazione sentimentale e sessuale nelle scuole, che insegni fin da bambini le basi di una relazione sana e scardini una volta per tutte gli atteggiamenti che portano a giustificare l’aggressore e a colpevolizzare la vittima».

In dieci anni 22 femminicidi solo a Brescia

Negli ultimi dieci anni soltanto a Brescia sono state perpetrati 22 femminicidi. Il 13 agosto ha segnato i quindici anni dall’omicidio di Hina Saleem, la ventenne uccisa dal padre e dagli zii perché non voleva sposare l’uomo scelto dalla sua famiglia e vivere all’occidentale. Come lei anche Sana Cheema. E poi Francesca Alleruzzo, Marilia Rodriguez, Daniela Bani, Gloria Trematerra, Milena Ciofalo, Simona Simonini, Stefania Crotti, Anna Mura, Francesca Fantoni, Zsuzsanna Mailat, Viktoriia Vovkotrub, Souad El Allumi, Sorina Monea, Marinella Pellegrini, Elena Lonati, Mara Facchetti, Natalina Badini, Mina Safine, Shegushe Paeshti, Giuseppina Di Luca.

Le vittime in Italia

dati del Servizio analisi criminale del ministero dell’Interno pubblicati il 13 settembre dicono che dall’1 gennaio al 12 settembre 2021 su 197 omicidi le vittime donne sono 81, delle quali 70 sono state uccise in ambito familiare, 50 da un partner o da un ex. A loro si aggiungono le ammazzate negli ultimi giorni: Chiara Ugolini, Ada Rotini, Angelica Salis, Rita Amenze, Sonia Lattari, Giuseppina Di Luca, Alessandra Zorzin. Una vittima quasi ogni tre giorni, sette solo negli ultimi dieci

Cosa si intende per femminicidio

Nel nostro Paese quando si parla di femminicidi ci si scontra con problemi di linguaggio e di normativa. Non esiste infatti una definizione univoca di femminicidio né nei vocabolari né nella legislazione italiana. I dizionari lo descrivono come “un’uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica o annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale”. Ma il codice penale non prevede un reato specifico di femminicidio (uccisione di una donna per motivi di genere, cioè in quanto donna): viene punito a titolo di omicidio aggravato, con l'ergastolo se commesso contro il coniuge e fino a trent'anni di reclusione se contro il coniuge divorziato (art. 577). Se l'assassino non è legato alla vittima come congiunto, esistono altri tipi di aggravanti - per esempio la crudeltà, la concomitanza con un altro reato come lo stupro e la condizione di minorata difesa della vittima, come nel caso di Francesca Fantoni -, che portano comunque a una sentenza per omicidio pluriaggravato.

Relazioni verticali e prevaricazioni

«Nei processi ci troviamo di fronte a quelle che alla Casa delle Donne chiamiamo relazioni verticali – spiega l'avvocata Guatta –, cioè rapporti squilibrati in cui l’uomo predomina e se la donna gli dice di no lui l’ammazza per impedirle di autodeterminarsi. Il femminicidio spesso è il culmine di una violenza fisica, psicologica ed economica che viene perpetrata nel tempo». 

A volte però può anche essere un omicidio non annunciato, cioè che non segue ad altri maltrattamenti ma si manifesta in un unico e feroce episodio di prevaricazione sulla donna da parte di un partner o di altri soggetti, non partner. Infine, va tenuta conto la differenza tra uxoricidio, cioè l'omicidio di un coniuge, e femminicidio: un uxoricidio può non essere un femminicidio (uccisione di donna in quanto donna), come nel caso Gozzini, mentre un femminicidio non necessariamente è uxoricidio (di nuovo, Francesca Fantoni).

La Convenzione di Istanbul

  • La protesta delle donne turche ad Ankara per l'uscita dalla Convenzione di Istanbul
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Ma come si giudicano allora casi come quello di Giuseppina Di Luca? La cornice generale in cui è stata articolata la normativa italiana è quella della Convenzione di Istanbul, un trattato internazionale contro la violenza sulle donne e la violenza domestica approvato nel 2011 dal Consiglio d’Europa e ad oggi firmato da 45 Paesi. L’Italia l’ha sottoscritta nel 2012 (e ratificata con la legge n. 77 del 2013). 

La Convenzione di Istanbul è importante perché è stato il primo strumento a vincolare giuridicamente i firmatari sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza sulle donne, riconoscendola come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione. Il 2 luglio 2021 la Turchia ne è uscita definitivamente, cento giorni dopo il decreto del presidente Recep Tayyip Erdogan, che ha scatenato la rivolta delle donne e l'indignazione della comunità internazionale.

La normativa italiana sulla violenza contro le donne

Negli ultimi 25 anni sono state pubblicate diverse leggi che hanno provato a definire i contorni della violenza contro le donne (le trovate tutte ricapitolate dall’Istat qui). Tra le più importanti la n. 38 del 2009, nota soprattutto per aver introdotto il reato di stalking, la n. 119 del 2013, la cosiddetta legge sul femminicidio che ha specificato numerose misure di contrasto alla violenza di genere, e la n. 69 del 2019, denominata Codice Rosso, che oltre a innovare la disciplina penale e processuale ha inasprito le sanzioni e ha riconosciuto come reato il revenge porn, cioè la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (un caso recente è quello della maestra di Torino, a cui l’artista Andrea Villa ha dedicato il progetto che vedete nella foto qui sopra per condannare la discriminazione di genere).

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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