Omicidio Bozzoli, Marcheno si schiera con i giudici dopo l’ergastolo al nipote

Il paese della Valtrompia ha pochi dubbi sulla verità giudiziaria e pensa a Mario che non c’è più
Giacomo Bozzoli - © www.giornaledibrescia.it
Giacomo Bozzoli - © www.giornaledibrescia.it
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«Se gli hanno dato l’ergastolo qualcosa ci sarà. E se il povero Mario ha fatto davvero quella fine se lo merita tutto». Si può racchiudere in queste poche parole il pensiero di gran parte degli abitanti di Marcheno all’indomani della conferma dell’ergastolo per Giacomo Bozzoli, il 38enne nato e cresciuto nel paese valtrumplino, condannato anche in secondo grado con l’accusa di aver ucciso lo zio Mario e di averlo gettato in uno dei due forni della fonderia di famiglia in via Angelo Gitti. 

Otto anni dopo

A otto anni di distanza da quell’8 ottobre 2015, dopo la sentenza della Corte d’assise d’appello pronunciata venerdì dal presidente Claudio Mazza, in paese non si parla d’altro e il primo pensiero di molti è proprio per l’imprenditore all’epoca 50enne, marito e padre di due figli, del quale non si è più saputo nulla e della cui possibile sorte, almeno finora, c’è solo una verità giudiziaria affidata alle sentenze di primo grado e di appello. «Mi dispiace per il povero Mario perché non si sa che fine abbia fatto e non c’è una tomba dove poterlo piangere» afferma una signora, che ricorda di averlo visto poco prima della scomparsa. Per la famiglia, per la moglie e per i figli deve essere uno strazio». Quanto a Giacomo, condannato per omicidio e distruzione di cadavere, non ci sono molti dubbi: «Se l’hanno condannato ancora all’ergastolo – dice – avranno le loro ragioni». In paese tutti sanno che i rapporti tra le due famiglie, quella di Mario e quella di Adelio, erano tutt’altro che idilliaci e non scorreva buon sangue. Due famiglie descritte come molto diverse, segnate dai caratteri dei due fratelli, «Mario buono come il pane, sempre gentile e disponibile, Adelio invece un po’ più sulle sue, così come Giacomo che conosco da quando era bambino», afferma Enrica, seduta al bar a leggere il Giornale di Brescia, aperto sulle due pagine che raccontano l’ultima udienza di venerdì in tribunale. 

Una donna legge la notizia della condanna - © www.giornaledibrescia.it
Una donna legge la notizia della condanna - © www.giornaledibrescia.it

Le due famiglie

In pochi, insomma, sembrano disposti a credere all’innocenza di Giacomo, che ancora venerdì alla Corte ha ripetuto in lacrime di non aver fatto quello per cui l’accusano. Molti si chiedono anche il ruolo che possono aver avuto gli operai che si trovavano in fonderia quella sera e se davvero si sia suicidato Beppe Ghirardini, l’addetto ai forni rinvenuto cadavere a Case di Viso con un’esca al cianuro nello stomaco, una settimana dopo la scomparsa del suo datore di lavoro. E con la condanna in primo grado di Giacomo anche la posizione di Oscar Maggi rischia di essersi aggravata: accusato di concorso in omicidio e distruzione di cadavere nell’ambito di un’indagine, nata dopo la trasmissione degli atti voluta dal giudice di primo grado Roberto Spanò, e nelle mani del procuratore aggiunto Silvio Bonfigli. Che potrebbe a questo punto prendere una direzione precisa.

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