Cosa sono e che servizi offrono le Case di comunità

«Con le Case di comunità e l’intera organizzazione distrettuale intendiamo riconnettere l’ospedale con il territorio. È una sfida irrinunciabile che impegna tutti gli attori del sistema sociosanitario, che richiederà il giusto tempo per il suo completo compimento e un approccio culturale nuovo anche da parte del cittadino». A spiegarlo è Enrico Burato, direttore sociosanitario dell’Asst Spedali Civili di Brescia.
Obiettivi
Nel Bresciano – ricordiamo – le Case di comunità saranno 33. In linea con il famoso Decreto ministeriale 77/2022, rispondono alle esigenze di una popolazione composta da un numero sempre più importante di anziani e malati cronici. Questi ultimi, già ora, sono il 40% degli assistiti e assorbono oltre il 70% della spesa sanitaria. Come riassume Burato, queste nuove strutture finanziate con i fondi del Pnrr e da completarsi entro metà 2026 si pongono l’obiettivo di «garantire l’accesso unitario e integrato all’assistenza sanitaria, sociosanitaria e socioassistenziale in un luogo di prossimità, ben identificabile e facilmente raggiungibile dalla popolazione di riferimento. Lavorano in un’ottica di prevenzione e promozione della salute anche attraverso il coordinamento con il Dipartimento di Prevenzione. Mirano a garantire la presa in carico della cronicità e della fragilità secondo il paradigma della medicina d’iniziativa».
Si occupano, poi, «della valutazione del bisogno della persona e dell’accompagnamento alla risposta più appropriata, programmabile e non. Forniscono la risposta alla domanda di salute della popolazione – sottolinea Burato – e la garanzia della continuità dell’assistenza anche attraverso il coordinamento con i servizi sanitari territoriali. Attivano percorsi di cura multidisciplinari, che prevedono l’integrazione tra servizi sanitari, ospedalieri e territoriali, e tra servizi sanitari e sociali».
Quali servizi
Entrando nel dettaglio dei servizi che forniscono, Burato precisa che tra una Casa di comunità e l’altra possono esserci delle differenze in funzione dell’offerta già presente nel territorio di riferimento e delle specificità dei bisogni di quella comunità. Quella di via Marconi in città, disporrà, ad esempio, anche di Tac, Risonanza e Radiologia domiciliare. In linea generale è sempre presente il Pua (Punto unico di accesso) al quale i cittadini possono rivolgersi al fine della valutazione dei bisogni e dell’orientamento tra i servizi sanitari e sociali con una forte sinergia con gli Ambiti territoriali dei Comuni.
Ci sono, poi, gli assistenti sociali, i punti prelievo e vaccinazioni, lo sportello di scelta e revoca del medico, le attività di promozione della salute e di screening, la continuità assistenziale (che garantisce anche la presenza di un medico h 24 svolgendo attività di integrazione con il medico di famiglia di notte, nei festivi e nei prefestivi), gli infermieri di famiglia e comunità (Ifec), la telemedicina, i consultori, il collegamento con le cure palliative e il Dipartimento di Salute mentale e delle Dipendenze e, elemento di congiunzione con l’ospedale, gli ambulatori dei medici specialisti (di Diabetologia, Cardiologia, Cure palliative, Geriatria, Neurologia, ecc) che si occupano della presa in carico dei cronici con i medici di famiglia.
Medici di famiglia

In alcune Case di comunità sono presenti gli ambulatori dei medici di famiglia. A tal proposito ricordiamo che i nuovi medici di famiglia sono chiamati a svolgere alcune ore in Cdc in un’ottica di maggiore integrazione nel sistema delle cure primarie soprattutto nel periodo iniziale dell’incarico. Quelli già in servizio hanno, invece, potuto scegliere se rimanere in regime di «quota capitaria» o passare al «ruolo unico» per garantire - qualora non siano massimalisti - ore integrative a disposizione degli assistiti che afferiscono alla Cdc: il 99%, anzi di più, ha confermato lo status attuale.
Due sono le criticità emerse ad oggi nelle Cdc: la difficoltà a reperire personale (in primis infermieri) e l’avvio dei servizi digitali (telemedicina). Dietro tutto ciò c’è un modello basato su «integrazione, multidisciplinarietà, prossimità e proattività. Un modello che parte dalla stratificazione della popolazione in virtù delle cronicità e delle fragilità. Fa perno sulla presa in carico della persona dal punto di vista sociale, sanitario, socioassistenziale e sociosanitario. Ed è orientato a implementare le attività di prevenzione favorendo l’appropriatezza delle cure. Con impatto, nel tempo, sulle liste d’attesa e sugli accessi impropri nei setting ospedalieri e nel Pronto soccorso». Le Case di comunità non sono l’unico nuovo servizio che lavora in tal senso.
Cosa sono le Cot, le Centrali operative territoriali
Ci sono anche gli Ospedali di comunità e le Cot (Centrali operative territoriali) che – dietro le quinte – coordinano la presa in carico della persona e hanno una funzione di raccordo tra i servizi e i professionisti coinvolti nei diversi setting assistenziali.
Quanto, poi, agli Ospedali di comunità ricordiamo che, a dispetto del nome, non sono la canoniche «strutture ospedaliere», ma strutture territoriali dipendenti dai Distretti che hanno la finalità di evitare ricoveri ospedalieri potenzialmente inappropriati e di favorire dimissioni protette in luoghi idonei alla stabilizzazione clinica, al recupero funzionale e all’addestramento del degente e del suo caregiver all’autonomia e all’autocura. Dispongono tutti di 20 posti letto, garantiscono assistenza di base e infermieristica h 24 e possono contare sulla presenza di un medico per 4 ore e mezza al giorno dal lunedì al sabato. A Burato piace definirli «il reparto a disposizione soprattutto dei medici di famiglia. Anche in questo caso siamo di fronte a una novità che cambia il paradigma attuale e che richiederà il giusto tempo per il suo consolidamento e un nuovo approccio culturale».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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