Mercato del lavoro, il referendum trasforma il tema in sfida ideologica

Pierluigi Cordua
L’8 e 9 giugno i cittadini sono chiamati alle urne: dei cinque quesiti, quattro riguardano il mercato del lavoro, ambito essenziale del sistema economico e sociale italiano
Lavoratori - © www.giornaledibrescia.it
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L’8 e 9 giugno i cittadini italiani saranno chiamati ad esprimersi su quattro quesiti referendari che toccano direttamente il mercato del lavoro, ambito essenziale del nostro sistema economico e sociale. Si tratta di temi complessi, che richiedono valutazioni approfondite e libere da approcci ideologici. Come rappresentanti di migliaia di piccole e medie imprese – cuore pulsante dell’economia bresciana e nazionale – sentiamo la responsabilità di offrire una riflessione fondata sull’esperienza concreta di chi ogni giorno genera occupazione e valore nei territori. I primi due quesiti riguardano il tema, sempre sensibile, dei licenziamenti. Si propone l’abrogazione del D.lgs. 23/2015 (cosiddetto «Jobs Act») e la modifica dell’articolo 8 della Legge 604/1966, con l’estensione delle tutele reintegratorie anche alle imprese con meno di 15 dipendenti.

Il licenziamento è da sempre terreno di scontro, spesso affrontato con logiche ideologiche piuttosto che con pragmatismo. La realtà quotidiana dimostra che chi fa impresa seriamente non ha interesse a licenziare, ma a valorizzare le proprie risorse umane, investendo in competenze e stabilità. Pensare che l’occupazione dipenda unicamente dal livello di protezione giuridica rischia di produrre effetti controproducenti: si alimenta la percezione di rigidità, si scoraggia l’assunzione, si incentiva – almeno nel medio periodo – il ricorso a tecnologie sostitutive.

Una società giusta deve fondarsi su un equilibrio tra tutele e flessibilità, evitando che la norma diventi un ostacolo alla crescita. L’attuale sistema, pur perfettibile, ha introdotto una logica di maggiore certezza per le imprese, legando il risarcimento in caso di licenziamento illegittimo a criteri oggettivi come l’anzianità e la dimensione aziendale

Questo ha ridotto l’arbitrarietà e incentivato le soluzioni conciliative, ormai largamente prevalenti. Reintrodurre un sistema più rigido – specie per le piccole imprese – significherebbe imporre oneri non sostenibili e creare ulteriore incertezza. Il terzo quesito si concentra sulla disciplina dei contratti a termine, proponendo di reintrodurre l’obbligo di causale per ogni contratto a tempo determinato.

Anche in questo caso, è necessario guardare alla realtà del nostro tessuto produttivo: oltre il 90% delle imprese italiane ha meno di 10 dipendenti. In questi contesti, poter disporre – in via limitata e regolata – di un primo contratto senza causale è uno strumento minimo ma essenziale di flessibilità. Si tratta di una leva utile per affrontare picchi di attività, incertezze del mercato o necessità temporanee, senza la quale si rischia di aumentare la burocrazia, generare nuovi contenziosi e frenare l’occupazione.

Ma tra i quesiti in campo, anche quello legato alla salute e sicurezza sul lavoro – il quarto – merita un’attenta riflessione. I numeri parlano chiaro: ogni anno si contano in Italia centinaia di migliaia di denunce per infortunio e, tragicamente, circa mille morti sul lavoro. La sicurezza deve essere una priorità assoluta, condivisa da tutti: lavoratori, imprese e istituzioni. Tuttavia, la proposta di estendere automaticamente la responsabilità civile e penale dell’impresa committente in caso di infortunio nell’ambito di un appalto solleva più di una perplessità.

Non si può ignorare che, nella complessa catena degli appalti, la responsabilità deve rimanere collegata a condotte effettive e verificabili, non attribuita in modo automatico e generalizzato. L’introduzione di una responsabilità oggettiva per l’appaltante – anche quando ha scelto fornitori qualificati e adottato tutte le misure preventive previste dalla legge –rischia di avere un impatto disastroso: aumento dei contenziosi, crescita dei costi di gestione, disincentivo a collaborare con piccoli fornitori o artigiani locali. Paradossalmente, si finirebbe per danneggiare proprio le imprese più corrette e strutturate, generando insicurezza giuridica anziché maggiore tutela.

Questo non significa sottrarsi alle proprie responsabilità, ma chiedere che la normativa sia equa, bilanciata, proporzionata. La vera risposta alla piaga degli infortuni non sta nella moltiplicazione automatica delle sanzioni, ma in una strategia integrata fatta di controlli più efficaci, formazione mirata, incentivi alla certificazione, coinvolgimento attivo di tutta la filiera produttiva.

In un momento storico segnato da sfide straordinarie – la denatalità, l’invecchiamento della popolazione, la trasformazione tecnologica, l’instabilità geopolitica – abbiamo bisogno di un diritto del lavoro moderno, stabile, capace di promuovere fiducia reciproca e sviluppo. Non servono scorciatoie referendarie, spesso guidate da letture parziali e semplificatrici, che rischiano di compromettere equilibri già fragili.

Il voto è uno strumento prezioso di partecipazione democratica, ma va esercitato con piena consapevolezza delle conseguenze. La legislazione in materia di lavoro richiede competenza tecnica, confronto tra le parti sociali e valutazione di impatto economico e sociale. Per questo, continui richiami al referendum rischiano di svuotarne il senso originario, trasformandolo in un’arena ideologica distante dalla realtà concreta di imprese, lavoratori e territori.

Per tutte queste ragioni, Confapi Brescia rivolge un appello chiaro e costruttivo: affrontiamo insieme – istituzioni, parti sociali, imprese e lavoratori – le vere sfide del lavoro, senza forzature, senza scorciatoie, ma con responsabilità. Serve un dialogo trasparente e duraturo, che riconosca l’importanza di conciliare libertà economica, sicurezza, stabilità e inclusione. Solo attraverso un patto tra le componenti sane del sistema Paese sarà possibile costruire un mercato del lavoro più equo, competitivo e sostenibile. Insieme.

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