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Scelta che esprime una forma di sfiducia verso il sistema scolastico

Non esistono studi scientifici che dimostrino risultati migliori dell’istruzione parentale
Studenti di scuola secondaria di secondo grado - © www.giornaledibrescia.it
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L’istruzione parentale (o familiare, come spesso viene chiamata) trova il suo fondamento giuridico nell’art. 30 della Costituzione che prevede che è dovere e diritto dei genitori mantenere ed educare i figli. Le norme applicative di questo principio stabiliscono che i genitori che intendono provvedere privatamente (affidandosi a docenti o istitutori privati) o direttamente all’istruzione obbligatoria dei propri figli devono dimostrare di avere la capacità tecnica o economica. In sostanza, devono dimostrare di essere capaci (o in prima persona o affidandosi a terzi qualificati) di provvedere all’istruzione dei figli senza ricorrere all’ordinario sistema scolastico.

Inoltre, ogni anno sono tenuti a dare comunicazione della loro decisione al dirigente scolastico del Comune di residenza. Gli alunni in istruzione parentale sono tenuti ogni anno a sostenere l’esame di idoneità, presso una scuola statale o paritaria, come candidati esterni, per il passaggio alla classe successiva, fino all’assolvimento dell’obbligo di istruzione, come ribadito dal DLgs 62/2017. Questa forma di «controllo» annuale voluta dalla legge ha lo scopo di garantire al minore il diritto a ricevere un’istruzione adeguata.

Infatti il diritto dei genitori a provvedere direttamente all’istruzione dei figli non può essere considerato avulso da ogni tipo di verifica e anzi può essere esercitato solo previo controllo dell’autorità competente (in questo caso il dirigente scolastico). In questi termini si è espresso recentemente anche il Consiglio di Stato con sentenza 1491/2024, intervenendo in una controversia in cui alcuni genitori ritenevano di poter esercitare l’istruzione familiare senza alcun vincolo di controllo da parte dell’autorità scolastica. I giudici hanno invece ribadito che la responsabilità educativa dei genitori non può essere concepita come un «affare privato» degli stessi.

Fin qui il quadro normativo. Qualche considerazione va fatta sul significato che assume l’istruzione parentale nel processo di educazione e di apprendimento dei bambini coinvolti. Va detto, innanzi tutto, che non esistono studi scientifici longitudinali condotti da centri di ricerca autonomi che possano dimostrare che la fruizione dell’istruzione parentale consenta ai bambini di raggiungere risultati migliori rispetto a chi frequenta il sistema scolastico ordinario. Al di là delle motivazioni individuali che spingono le famiglie a questo tipo di scelta, sicuramente vi è sotto - in forma più o meno consapevole - una forma di sfiducia verso il sistema scolastico e, correlativamente, una sovrastima del potere educativo e istruzionale della famiglia.

Ciò che appaiono poco valutati in questo tipo di scelta sono alcuni aspetti di carattere squisitamente educativo e formativo che solo all’interno di strutture istituzionalmente organizzate possono essere adeguatamente curati e perseguiti come le capacità relazionali e interattive che per loro natura richiedono uno spazio sociale (qual è la scuola) per essere esplorate e acquisite in modo adeguato.

E, infatti, la frequenza scolastica rappresenta per i bambini il passaggio da uno spazio privato a uno spazio pubblico, ossia da un codice essenzialmente emotivo-affettivo a un codice in cui entrano in gioco in modo più forte gli aspetti sociali, di negoziazione dei significati, di rispetto di regole condivise, di strutturazione intenzionale degli apprendimenti, di gestione di impulsi e sentimenti all’interno di una dimensione intersoggettiva. È in questa dimensione pubblica, intenzionalmente organizzata in chiave educativa e caratterizzata dalla dinamica «io-noi», che il bambino può sperimentare in modo più ampio e interpersonale gli elementi di base acquisiti in famiglia (conoscenze, emozioni, relazioni ecc.).

Un’ultima annotazione: il ricorso all’istruzione parentale può essere visto come una forma di attaccamento molto marcata alla dimensione familiare e domestica, come se i figli fossero nostra proprietà. A questo proposito, ha scritto parole molto significative il poeta statunitense-libanese Khalil Gibran che in maniera suggestiva ha così scritto dei figli e dei genitori: «I vostri figli non sono figli vostri. / Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di sé stessa... / Potete offrire dimora ai loro corpi, ma non alle loro anime. / Perché le loro anime abitano la casa del domani, che voi non potete visitare, neppure nei vostri sogni... / Potete sforzarvi di essere simili a loro, ma non cercate di renderli simili a voi. / Perché la vita non torna indietro e non si ferma a ieri».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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