La Cie cresce e lo Spid si pagherà: c’è una crisi d’identità digitale

La convenzione tra lo Stato italiano e le piattaforme che rilasciano lo Spid è formalmente scaduta il 9 luglio e il Governo non ha intenzione di rilanciarla, se non per lo stretto indispensabile
Autenticazione tramite Spid © www.giornaledibrescia.it
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Grazie tante per quel che avete fatto e per quel che ancora state facendo, ma presto ci arrangeremo da soli. Potrebbero essere sintetizzate così le dichiarazioni del sottosegretario Alessio Butti nell’audizione alla Commissione parlamentare per la semplificazione. Al centro della questione lo Spid, il sistema che rilascia a tutti noi l’identità digitale per accedere ai servizi della Pubblica amministrazione, e che ora va verso l’esaurimento del proprio ruolo.

La convenzione tra lo Stato italiano e le piattaforme che rilasciano lo Spid è formalmente scaduta il 9 luglio e il Governo non ha intenzione di rilanciarla, se non per lo stretto indispensabile. Accade così che alcuni operatori faranno pagare ai loro utenti un abbonamento annuo: InfoCert dal 28 luglio costerà 5,96 euro all’anno, mentre Aruba darà gratuitamente il primo anno per far pagare 4,90 euro dal secondo in poi. Gli altri per ora non prevedono pagamenti, anche se Poste Italiane chiede esborsi per alcuni servizi.

La storia dello Spid è una vicenda tutta italiana, nel bene e nel male. L’idea nasce nel 2013, quando il Governo di Matteo Renzi vuole dare una spinta decisa verso l’innovazione del Paese. L’intenzione è di creare un sistema che rilasci ad ogni cittadino un'identità digitale unica per accedere alle piattaforme dei servizi della Pubblica amministrazione. Nel 2014 il Consiglio dei ministri istituisce lo Spid e nel 2015 ne definisce le regole. Ma la pubblica amministrazione italiana non ha gli strumenti per realizzare in tempi brevi il programma, quindi si pensa di ricorrere ad operatori privati. Nel giro di poco tempo sono ben dodici le piattaforme che stipulano la convenzione con lo Stato italiano. Si va da quelle parapubbliche, come Poste Italiane, a quelle totalmente private e che si stanno espandendo sul mercato delle mail certificate, come InfoCert e Aruba. Il 15 marzo 2016, finalmente, vengono rilasciate le prime identità digitali.

Accesso. Il nuovo codice Spid
Accesso. Il nuovo codice Spid

Il sistema viene propagandato come la chiave verso un futuro digitale luminoso e a portata di tutti. Anche se le procedure, soprattutto nei primi tempi, non sono particolarmente agevoli e creano qualche difficoltà agli utenti. Appare poi subito evidente che il trucco dello Spid affidato a piattaforme private può risolvere il problema congiunturale ma rappresenta un pasticcio in termini giuridici e teorici. Sta infatti fra i compiti principali di uno Stato la certificazione dell’identità dei suoi cittadini, anche quella digitale. Perché mai dovrebbe affidarla a enti privati, seppur convenzionati?

La ragione vera è che un numero irrisorio di italiani in quel momento ha una Cie, la Carta d’identità digitale, e la burocrazia non è in grado di stabilire entro quanto tempo tutti gli italiani l’avranno. Una soluzione alternativa potrebbe essere la Cns, la Carta nazionale dei servizi, ma non pare una via percorribile. Lo Spid intanto guadagna spazio tra le abitudini degli italiani, che dimostrano una capacità notevole di adattamento. Oggi sono oltre 40 milioni i cittadini che hanno un’identità Spid.

Passano otto anni e la situazione si modifica. Negli ultimi due anni la carta d’identità digitale ha una diffusione che supera le aspettative: gli italiani che l’hanno in tasca sono ormai vicini ai 50 milioni. Quindi il Governo pensa di poter chiudere il pasticcio dello Spid e si sta muovendo di conseguenza. Le piattaforme più volte hanno fatto presente che la loro supplenza ai compiti dello Stato è un’operazione in perdita ed hanno chiesto di essere rimborsate. Nel 2023 il Governo aveva stanziato 40 milioni, ma non ha ancora sborsato neppure un euro. Il sottosegretario Butti ha spiegato alla commissione parlamentare che intende riunire le identità digitali degli italiani sotto l’egida Cie. Ne guadagneremo in sicurezza, perché riportare nelle mani dello Stato una delle sue funzioni essenziali dovrebbe anche ridurre i rischi di truffe e raggiri.

Ma resta un problema: entro quanto tempo ciò avverrà? Il Governa ha pronosticato due-tre anni. Finora ha saputo mantenere i tempi e ciò fa ben sperare. Anche perché l’operazione rientra in un piano di transizione tecnologica che prevede un portafoglio digitale per ogni cittadino (già in parte funziona nell’App IO) con a portata di smartphone, la tessera sanitaria, la patente di guida, la carta d’identità e quindi ad essa legata anche l’identità digitale. Dal 2026 un «wallet» simile dovrebbe essere disponibile nell’ambito dell’Unione europea.

Così la rivoluzione tecnologica entra nelle nostre tasche e nella nostra vita. Comodissimo per chi impara ad usare le app. Un ostacolo in più per le generazioni meno giovani. E non pochi dubbi sul destino dei nostri dati personali, raccolti in banche dati unificate e quindi potenzialmente «disponibili» anche per chi ha intenzioni... opache. Meglio comunque lo Stato che un operatore privato e sconosciuto.

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