Italia e Estero

Via gli italiani dall'Ucraina, i bresciani dello Shakhtar restano

De Zerbi e Nicolini, tecnico e dirigente della squadra di Donetsk, aspettano a rispondere all'invito di Di Maio a lasciare il Paese
L'esterno dell'aeroporto di Kiev - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
L'esterno dell'aeroporto di Kiev - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
AA

Gli italiani vadano via dall’Ucraina, dove il caos può scoppiare da un momento all’altro. Soprattutto adesso che Vladimir Putin ha deciso di riconoscere le repubbliche separatiste dell’Ucraina orientale.

Con la situazione nel Donbass sempre più «preoccupante», il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha formulato un nuovo invito ai connazionali, più pressante rispetto ai giorni precedenti, per evitare che restino bloccati nel Paese. L’ambasciata a Kiev resterà operativa per fornire ogni tipo di assistenza, ma con la progressiva sospensione dei collegamenti aerei da Kiev da parte delle compagnie europee, Roma chiede di muoversi il più presto possibile.

La fuga degli occidentali dall’Ucraina è una delle priorità delle cancellerie, da Washington a Berlino, da Parigi a Londra, che hanno richiamato i propri cittadini. La Farnesina si è mossa dieci giorni fa, invitando i circa duemila connazionali, la maggior parte dei quali a Kiev, ad andarsene «in via precauzionale» il prima possibile, posticipando i viaggi «non essenziali in Ucraina e a qualsiasi titolo nelle regioni di Donetsk e Lugansk e in Crimea». Ora che la crisi ha avuto una svolta drammatica, i rischi per chi resta in Ucraina aumentano. «La situazione ci preoccupa molto», sottolineava Di Maio poche ore prima che Putin decidesse di riconoscere le repubbliche separatiste. «L’Italia è in massima allerta per affrontare gli eventi con la massima preparazione», ha spiegato il titolare della Farnesina, riferendo che «la nostra ambasciata a Kiev sta effettuando diverse prove di evacuazione del personale e chiedendo agli italiani in Ucraina di lasciare il Paese».

Più di un invito, quindi, per convincere i tanti connazionali che sembra non vogliano andare via, e che in caso contrario vorrebbero portare le proprie famiglie ucraine con loro. In molti, tra l’altro, non hanno una casa in Italia, tanto che a Roma si ragiona anche sull’ipotesi di metterli in un hotel. Di Maio ha precisato che «l’ambasciata resta aperta e pienamente operativa, perché vogliamo dare un segnale di vicinanza al popolo ucraino e crediamo nella diplomazia», ma allo stesso tempo c’è preoccupazione per la progressiva cancellazione dei voli internazionali. Air France, ultima in ordine di tempo, ha sospeso i suoi due voli Parigi-Kiev. Così come la sua associata olandese Klm. Sabato i tedeschi di Lufthansa hanno fermato i collegamenti dalla capitale ucraina e da Odessa fino alla fine di febbraio. Anche la svizzera Swiss Air ha deciso di tenere a terra i propri aerei, così come ha fatto pure l’Austrian Airlines.

Nelle ultime ore, tra l’altro, è entrata in vigore una no-fly zone dichiarata dalla Russia sul Mar d’Azov, ovvero una sezione settentrionale del Mar Nero. Questo vuol dire escludere i voli commerciali di linea dalla zona, che confina con il porto ucraino di Mariupol, vicino alla linea di contatto tra le forze separatiste ucraine e filo-russe. 

Tra chi non lascerà, almeno nell’imminenza, il paese ex sovietico i bresciani Roberto De Zerbi e Carlo Nicolini, rispettivamente allenatore e dirigente dello Shakhtar Donetsk, squadra che guida il campionato calcistico ucraino con due punti di vantaggio sui rivali di sempre della Dinamo Kiev (guidati dal grande ex, anche del Brescia, Mircea Lucescu) e che sabato per la 19ª giornata sarà in trasferta a Kharkov contro il Metalist. Quanto alle attività produttive, la Valsir, che controlla la Valrom, azienda produttrice di tubi e raccordi in polietilene e Pvc (72 dipendenti nel distretto di Vinnitska, nel centro del Paese), per bocca del presidente Andrea Niboli dice che «sta valutando la situazione giorno per giorno», ma per ora la produzione, seppur con rallentamenti, non ha subìto blocchi.

Tra il personale dell’azienda non ci sono bresciani, così come nella Camozzi automation, con sede nella capitale Kiev, che fa impianti per l’automazione. L’azienda bresciana sta proseguendo senza intoppi la produzione nello stabilimento che dà lavoro a 150 persone. La Camozzi automation ha peraltro un sito in Russia sul quale sta investendo e segue con attenzione l’evolversi di questa fase critica. Pure il grosso gruppo calzaturiero Condor trade di Verolanuova, anch’esso con sede a Kiev, continua la produzione. Naturalmente con l’occhio allo svilupparsi della situazione.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia