I lavoratori immigrati creano a Brescia un valore aggiunto di 2 miliardi
Gli immigrati sono un importante pilastro del «sistema Brescia». Sostengono la crescita demografica e, soprattutto, il Pil, il prodotto interno lordo che determina il livello di ricchezza di un Paese. Lo fanno con un valore aggiunto di oltre due miliardi di euro (era di 1,8 miliardi nell’ultima rilevazione riferita ai redditi 2021), dando un contributo al Pil provinciale pari al 9,8%. L’incidenza sul Pil aumenta sensibilmente in agricoltura (15,7%) e in edilizia (14,5%).
Ai 126.270 contribuenti da lavoro dipendente (13,8% del totale) si devono aggiungere anche gli autonomi. Nella nostra provincia gli imprenditori stranieri sono oltre sedicimila. Per i dipendenti, il reddito medio annuo dichiarato è di 16.640 euro, con una differenza di 8.370 euro rispetto a quello degli italiani. Il volume Irpef dei lavoratori immigrati bresciani è di 274 milioni di euro e la percentuale di incidenza rispetto al totale dei dipendenti è pari al 13,8%.
L’analisi
I dati sono contenuti nel Rapporto annuale 2023 sull’economia dell’immigrazione, curato dalla Fondazione Leone Moressa e presentato ieri al Viminale e alla Camera dei Deputati. Numeri preziosi, utili per comprendere il contributo dei cittadini di origine straniera nella crescita della nostra economia.
«Dopo la pandemia, che aveva penalizzato soprattutto le donne immigrate, gli occupati hanno registrato una ripresa, segno di maggiore capacità di adattamento rispetto alla popolazione autoctona» spiegano i ricercatori della Moressa che hanno elaborato le informazioni su dati del ministero dell’Economia e delle Finanze.
Le qualifiche
«Permangono, tuttavia, alcune criticità strutturali del mercato del lavoro italiano - continuano -. Innanzitutto, noi attraiamo soprattutto manodopera non qualificata, inserita nei lavori stagionali e manuale. Anche in presenza di lavoratori qualificati, in molto casi essi vengono inseriti in mansioni di basso livello, determinando un’immobilità sociale che limita le opportunità di reale inserimento sociale e determina uno spreco di competenze».
Gli occupati con un livello di istruzione terziaria (almeno la laurea) impiegati in un’occupazione di bassa o media qualifica sono infatti il 19,1% tra gli italiani, mentre salgono al 46,9% tra gli stranieri provenienti dall’Unione europea e al 67,1% tra gli stranieri non europei. Questo fa sì che il fabbisogno di manodopera resti alto a causa del divario di competenze.Anche il «lavoro povero» è molto più diffuso tra gli immigrati: è a rischio povertà - lo si evince leggendo il Rapporto annuale - il 9,7% dei lavoratori italiani contro il 20,3% degli stranieri europei e il 31,2% dei non europei.
Il fabbisogno
La pandemia, peraltro, ha fatto emergere la richiesta di manodopera da parte delle imprese, portando ad un’inversione di tendenza nella definizione delle quote di ingresso previste dal Decreto flussi: dopo anni di quote ridotte a 30mila annui (inclusi gli stagionali) su base nazionale, quelli pianificati sono stati 69mila per il 2022 e 82 mila per il 2023 (cui se ne devono aggiungere 40mila per i lavori stagionali), fino ai 452 mila previsti per il triennio 2024-2026.
Un altro dato da evidenziare è la costante crescita dell’imprenditoria immigrata, una costante propensione a «mettersi in proprio» sobbarcandosi un ulteriore rischio, dopo quello della decisione di emigrare, per puntare al miglioramento delle proprie condizioni economiche e dei familiari rimasti in patria.
Nel Bresciano la sfida è stata colta da 16.233 imprenditori stranieri pari al 9,6% del totale (il dato è del 2022 ed è in crescita di 139 unità rispetto all’anno precedente).
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