Manodopera cercansi: il progetto Brescia per avviare i rifugiati nel mondo del lavoro

L’iniziativa della prefetta Laganà ha già il sostegno di Confindustria. Adesione aperta a tutte le categorie
Il lavoro degli immigrati è una risorsa per l’economia - © www.giornaledibrescia.it
Il lavoro degli immigrati è una risorsa per l’economia - © www.giornaledibrescia.it
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Il lavoro come strumento di integrazione, autonomia economica e affermazione di dignità. Brescia cerca la strada per trasformare l’emergenza profughi in opportunità per gli immigrati e il sistema produttivo locale. Da una parte ci sono gli oltre duemila stranieri richiedenti asilo o titolari di protezione presenti nei nostri Centri di accoglienza straordinaria (Cas) e nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), per la stragrande maggioranza persone senza occupazione (o preda dello sfruttamento con il lavoro nero). Dall’altra parte ci sono le aziende bresciane - nell’industria come nell’edilizia e nell’agricoltura - che cercano manodopera. Nei giorni scorsi la prefetta Maria Rosaria Laganà ha avviato un percorso che dovrebbe far incontrare i due opposti.

Per adesso è coinvolta la Confindustria, ma l’intento è di allargare la collaborazione con le altre associazioni di categoria, a cominciare da agricoltori e costruttori edili. Nei giorni scorsi la prefetta ha comunicato agli enti che gestiscono i Centri di accoglienza che, d’intesa con Confindustria Brescia, è stato deciso di attuare in ogni Cas «un’attività di ricognizione dei richiedenti asilo per i quali possa essere avviato un concreto percorso di avviamento al lavoro, previa eventuale formazione».

Questionario

Agli enti è stato fornito un questionario da distribuire a tutti gli ospiti; va compilato (con l’aiuto di mediatori e interpreti) e restituito alla prefettura entro la metà di settembre. Questo per i rifugiati presenti attualmente; per i nuovi arrivati la cadenza dovrebbe poi essere settimanale. L’adesione dei richiedenti asilo è volontaria. Lo scopo dell’iniziativa, specifica la prefetta, è «favorire il percorso di integrazione nell’arco temporale, non breve, in cui gli ospiti» restano in attesa del riconoscimento o meno dello status di rifugiato. Il questionario, oltre a rilevare la situazione anagrafica e familiare dell’immigrato, registra il titolo di studio, le precedenti esperienze di lavoro, le lingue parlate; chiede ai richiedenti la disponibilità a seguire corsi di formazione e a lavorare nel mondo dell’industria; domanda se si intende restare nel Bresciano, in Italia o andare altrove.

La sfida

È un percorso lungo e complesso, ma la sfida al sistema Brescia è lanciata. C’è la possibilità di costruire un modello che possa legare le necessità (e la dignità) dei profughi e le esigenze delle imprese. Ovviamente passando dalla formazione, sapendo tuttavia che certe attività richiedono meno conoscenza di altre e dunque l’inserimento è più facile. L’obiettivo - per cominciare - è mettere a punto un progetto pilota, anche per poche persone, ma in grado di essere replicato. Istituzioni, enti locali, terzo settore, associazioni di categoria, istituti di formazione, parlamentari: i soggetti chiamati in campo sono molti.

Uno dei problemi principali da affrontare - sottolineati anche dalla prefetta - sono i tempi di attesa. Ci vogliono anni per ottenere (o vedersi negato) lo status di rifugiato.

Limbo

Nel frattempo gli immigrati vivono in una sorta di limbo sociale, economico, culturale, che non fa bene a nessuno. Il lavoro, invece, è una occasione di riscatto e di integrazione, oltreché una fonte di reddito: denaro per costruire un futuro da noi oppure da mandare a casa. Senza contare che l’impiego regolare riduce le disponibilità della manodopera in nero.

Si parte dal questionario e dalla collaborazione con la Confindustria di Brescia per allargare il più possibile la partecipazione alle altre categorie. Sotto il segno della responsabilità sociale delle imprese.

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