Marco Follini: «De Gasperi era un leader che viveva come un impiegato»

Ultima conferenza delle 5 previste per il Garda Lake History Festival, organizzato dal Centro studi Rsi. Nella Sala dei Provveditori di Salò, a cura di Roberto Chiarini e Elena Pala, la rassegna è dedicata a cinque protagonisti del ’900. Appuntamento stasera alle 20.30 con Marco Follini sulla figura di Alcide De Gasperi. Il Festival ha avuto il sostegno di Regione Lombardia, Fondazione Comunità Bresciana, Provincia, Comune di Salò, Bcc Garda, Camera di Commercio e Confartigianato Brescia. Info a questo indirizzo.
Marco Follini, forse De Gasperi non è un politico molto conosciuto dal largo pubblico. Le vorrei chiedere in apertura di delineare con pochi tratti la sua figura di politico.
Io lo definirei un titano modesto, un uomo che ha ricostruito il Paese e ha creato le basi della vita repubblicana. Quindi è stato capace di un’impresa titanica e l’ha fatto però conservando lo stile asciutto, sobrio e misurato di un leader che non pretende di tiranneggiare.
Al tempo De Gasperi fu un bersaglio privilegiato dell’opposizione. È stato dipinto come l’uomo degli americani in politica estera e in politica interna l’uomo della restaurazione.
De Gasperi è stato a lungo confinato in una zona d’ombra perché non era un politico che andava a caccia di popolarità. Non era un uomo dai discorsi fantasiosi. Era operativo, molto attento alla concretezza dei problemi, problemi che erano altamente drammatici. Era un grande leader che viveva come uno scrupoloso impiegato. Gran parte delle decisioni da prendere erano obbligate e lui ebbe l’intelligenza politica e la costanza organizzativa di adottarle.
Andando nel concreto, ci sono almeno due scelte decisive che De Gasperi seppe prendere. La prima è la rottura nel marzo ’47 della maggioranza di unità nazionale che portò a uno scontro frontale tra la Democrazia Cristiana e il Fronte Popolare. La seconda scelta decisiva è stata di agganciare l’Italia all’area del dollaro. Due scelte che si rivelarono decisive per la stabilizzazione della democrazia in Italia e l’avvio del cosiddetto miracolo economico.
Sono d’accordo con lei. Occorre tener conto che in quegli anni erano scelte obbligate, ma controverse. Nella stessa Democrazia Cristiana c’era chi contrastava l’allineamento all’Occidente. Noi oggi ci troviamo in una condizione storica del tutto diversa. L’Occidente al tempo di Trump non suona così amichevole né rassicurante, ma nel dopoguerra l’unico modo per stabilizzare la democrazia era il presidio di un sistema di alleanze senza le quali noi saremmo stati risucchiati in una neutralità priva di ogni virtù geopolitica. Era una scelta doverosa tanto è vero che è stata fatta poi anche da quelli che in quegli anni l’avevano contrastata. Quando, anni e anni dopo, Berlinguer si avventura a dire che sta più sicuro sotto l’ombrello della Nato, anche quello possiamo considerarlo un tributo alla scelta compiuta da De Gasperi.
Lei ha detto che De Gasperi fu un grande leader, un grande statista, ma non fu certo un uomo di partito, come si usa dire oggi in maniera spregiativa.
Lei apre un capitolo molto difficile da raccontare. De Gasperi fu presidente del Consiglio per cinque anni, prima era stato segretario della Dc. Tornò poi a rivestire le cariche di segretario e di presidente della Dc, ma non ha mai avuto nel partito il peso che avrebbero avuto in seguito Fanfani e lo stesso Moro. De Gasperi curava l’amministrazione dello Stato e dirigeva il partito con redini invisibili, piuttosto da lontano, e questo finì peraltro col procurargli qualche dispiacere, quando il sostegno del suo esercito venne meno. De Gasperi non si dedicava a queste cure. Lasciava fare, un po’ perché la Dc cominciava ad assumere la caratteristica di partito di correnti, un po’ perché il partito era refrattario a leader troppo forti. De Gasperi fece certamente le spese di questa evoluzione del suo mondo.
E forse è anche la ragione per cui almeno nell’immediato De Gasperi non è stato molto amato nemmeno nel suo partito?
Intanto c’è da dire che all’indomani dell’uscita di scena di De Gasperi giunse alla testa del partito Fanfani che aveva un’idea completamente diversa del partito e della sua organizzazione, della sua politica economica e sociale. Quindi ci fu un elemento di fortissima discontinuità che coincise con la morte di De Gasperi. Per una ventina d’anni è vero ci fu la rimozione della figura di De Gasperi. Con il ventennale della sua scomparsa cominciarono alcune rivisitazioni. I riflettori ricominciarono a accendersi sulla figura di De Gasperi e strada facendo ci si accorse che lui aveva grandi virtù nascoste. Non era uomo da esibizione. Non era nemmeno un uomo che sapesse valorizzare i suoi meriti, in lui c’erano una sobrietà e una discrezione che hanno fatto velo nel ricordo dei contemporanei. Questo nei primi vent’anni dopo la sua morte. Oggi credo che il riconoscimento del valore di De Gasperi si sia molto diffuso.
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