Cronaca

Violenza di genere, la psicoterapeuta: «Si parte dal catcalling»

È una forma di violenza, prevalentemente verbale, che avviene in aree pubbliche: fischi, battute, commenti inappropriati e avance sessuali sono tra le principali forme
Una ragazza cammina da sola
Una ragazza cammina da sola
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Lo sguardo girato sempre all’indietro, il cellulare in mano, il passo veloce. L’ansia, la rabbia, la frustrazione. Sono queste alcune tra le sensazioni che le donne sperimentano quando sono da sole per strada, soprattutto di sera con la paura di essere molestate, anche solo a parole. Battute, commenti inappropriati, fischi e avance sessuali: è il catcalling.

Che cos’è il catcalling

Si tratta di una molestia sessuale, prevalentemente verbale, che avviene in aree pubbliche. Il termine, di derivazione inglese, indicava in origine il lamento notturno del gatto, cat-calling, appunto. Con il tempo inizia ad essere utilizzato in contesti teatrali: il pubblico, per dimostrare la propria disapprovazione, imitava il suono dell’animale nei confronti degli attori poco graditi. Da tempo la parola ha assunto un significato nuovo e indica una serie di commenti, spesso a sfondo sessuale, che alludono al modo di vestire e al corpo di una donna.Tuttavia, oggi, di catcalling si parla ancora poco, nonostante l’attenzione crescente a livello nazionale sulla violenza di genere. La difficoltà nel riconoscerlo come una forma di violenza, non solo da parte di uomini, ma anche di donne, persiste. Come mai?

Francesca Badiglioni, psicoterapeuta del centro antiviolenza Casa delle Donne di via San Faustino, ne spiega il motivo: «I numeri che ci arrivano per quanto riguarda i casi di catcalling sono pari allo zero, a riprova di come questi fenomeni vengano ancora normalizzati. È importante parlarne perché normalizzare queste condotte può portare a conseguenze dannose. È proprio da lì che si parte, da quelle che vengono considerate cose da niente – spiega –. Se all’interno della società si consentono queste modalità di rivolgersi alle donne, il rischio è la normalizzazione del fenomeno, da un lato. Dall’altro si continuano a perpetrare forme di violenza che assestano, di fatto, entrambe le posizioni di genere, laddove gli uomini agiscono e le donne sminuiscono l’accaduto. Parlarne significa riuscire a scardinare queste modalità».

I dati

Secondo una delle analisi più recenti, e tra le poche esistenti, sui casi di molestie di strada subite dalle donne in Italia, condotta dall’organizzazione non profit Right to be in collaborazione con l’Università di Cornell, nel 2015 il 79% delle donne italiane ha subìto molestie di strada prima dei 17 anni. Il 57% dichiara che sia successo prima dei quindici anni, il 9% prima del compimento dei dieci. La ricerca internazionale – che ha visto la partecipazione di 16.607 donne provenienti da 22 Paesi nel mondo – ha rilevato come la maggior parte di queste abbiano vissuto episodi di forte disagio psicofisico in pubblico, quali palpeggiamenti, catcalling e inseguimenti.

Il motivo per cui non ci sono ancora dati sul catcalling è legato a tre fattori: in primis, la maggior parte dei casi di violenza riguarda quella domestica o comunque agita da qualcuno che la vittima conosce. In secondo luogo, nelle schede di valutazione dei centri antiviolenza non esiste ancora una voce specifica per le molestie di strada, il che rende impossibile raccogliere dati. Infine, storicamente l’attenzione si è concentrata soprattutto sulla violenza all’interno delle mura di casa, lasciando in ombra altri aspetti del fenomeno. Se trattiamo di violenza domestica, invece, i casi non mancano: nei primi sei mesi del 2025 nel Bresciano ci sono stati 153 accessi nella Casa delle Donne, di cui 119 per maltrattamenti intrafamiliari. 

Testimonianze

«Mi è capitato più volte di essere vittima di catcalling. Un episodio che ricordo bene è successo quando frequentavo il liceo». Chi parla è Michela, ragazza bresciana di 26 anni. Nel ripercorrere la sua esperienza di disagio, torna indietro di qualche anno. «Ero sul pullman, di ritorno verso casa, e un uomo, sulla trentina, ha iniziato a fissarmi. Mi faceva l’occhiolino. Quando sono scesa alla fermata, ha iniziato a seguirmi fino a casa. Ho dovuto fingere di essere in chiamata con mia madre. Per fortuna, la mia destinazione era vicina e lui se n’è andato via, ma non senza fare battute di poco gusto. Avevo 16 anni».

Nel 2024, secondo l’Indice di criminalità pubblicato da Sole 24 Ore, Brescia è risultata 34esima nella classifica delle città meno sicure d’Italia. Sono state, infatti, 3540,3 le denunce per reati ogni 100 mila abitanti nel bresciano. Sul tema è intervenuta anche Anna Frattini, assessora alle Pari Opportunità che si è detta «in prima linea e al fianco alle vittime». Ha poi aggiunto: «Le donne, di qualsiasi età, continuano a non essere prese sul serio quando si verifica un episodio di catcalling, come un fischio o un apprezzamento non richiesto. La stessa dinamica si ripete nel contesto lavorativo, dove persiste ancora un forte divario di genere – chiosa Frattini –. È quindi doveroso portare avanti questa battaglia».

Brescia si è dimostrata più volte attiva su questo fronte, proponendo iniziative rivolte alla cittadinanza: «A Spazio Lampo ci sono numerose occasioni di riflessione, una delle quali è organizzata dal gruppo di autocoscienza maschile “Mask You”, che da tempo si batte per portare alla luce riflessioni maschili sul tema della violenza di genere – spiega l’assessora –. Un’altra iniziativa, promossa da Urban Center Brescia, riguarda i percorsi urbanistici di genere: camminate serali in cui le donne sono accompagnate da alcuni operatori del centro per rilevare le percezioni di pericolo che si provano girando in città al buio».

Sicurezza, paura e rabbia

Sulla sicurezza della città di Brescia, Michela, dunque, la pensa così: «Credo siano necessarie più misure di sicurezza per strada, nei parchi, nei parcheggi. Soprattutto in alcune zone della città, come la metro e la stazione che sono poco sorvegliate di notte». Anche Letizia Bignotti, 23 anni, di Desenzano, è d’accordo. «Certamente servirebbero maggiori controlli, ma soprattutto è necessario far conoscere alla cittadinanza quali siano i centri di antiviolenza del territorio che esistono, ma non sono abbastanza conosciuti soprattutto tra i giovani – dice –. Per questo motivo ritengo che parlarne sia fondamentale. In primis, per dare un nome al fenomeno. In secondo luogo, può esser di aiuto a chi ha subito episodi di questo genere a non sentirsi sola». Bignotti studia Sociologia all’Università di Padova e racconta così la sua esperienza: «Quando mi trovo in questi contesti spiacevoli cerco solitamente di stare zitta e aumentare il passo. Altre volte è capitato che chiedessi alla persona di smetterla e di allontanarsi. Ma senza successo».

Paura e rabbia sono tra i sentimenti che prevalgono tra le giovani. «Vorrei reagire, ma ho paura. E questo genera in me una grande rabbia – racconta Sara Mattanza, operatrice nella Casa Rifugio Casa Daphne dell’associazione multietnica «Terre Unite» –. Purtroppo, non sono solo i miei coetanei a molestare. Per quanto mi riguarda, nella maggior parte dei casi, sono stati uomini di una certa età. E questo spaventa ancora di più». Anche secondo Sara non si parla abbastanza delle forme di violenza minori. «Credo fermamente che si tratti di forme di abuso, ma molto sottovalutate. Quindi più se ne parla, più si abbatteranno queste narrazioni sbagliate. Il catcalling non è un gioco, perché è esattamente da qui che si inizia: è dal silenzio su comportamenti considerati normali come le molestie di strada che si crea un terreno fertile per violenze più gravi e riconosciute».

Voci maschili

Anche voci maschili riflettono sul tema. Per esempio il bresciano Pablo Di Meo, 25 anni e specializzando in pediatria a Firenze. «Credo sia fondamentale che la sensibilizzazione su questo tema vada indirizzata in particolare ai ragazzi. Sono persone di sesso maschile a praticare maggiormente il catcalling, spesso sminuendo addirittura la cosa – afferma –. Nella mia esperienza, raramente ho assistito a molestie verbali o sessuali da parte del mondo femminile. E in quei pochi casi si è trattato di episodi dalla portata ridotta in termini di aggressività percepita. Naturalmente non per questo ritengo che vadano sminuiti. La violenza rimane tale, indipendentemente dal sesso».

A Brescia sono diverse le associazioni attive che si impegnano su questo fronte. Tra queste, Casa delle Donne, che mette a disposizione figure professionali a supporto delle donne vittime di maltrattamenti, stalking e molestie. «L’associazione si è occupata negli anni anche di incontri formativi con le scuole – spiega Badiglioni –. Molti insegnanti si rivolgono a noi sia per organizzare giornate di dialogo con i ragazzi sia per avere supporto. È importante educare all’emotività sin dall’età dello sviluppo e le scuole sono un terreno fertile. Per questa ragione gli interventi educativi devono essere a monte. Questo è il modo più efficace per generare un cambiamento, altrimenti il rischio è che si continui ad arrivare sempre dopo, quando è troppo tardi».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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