Incendi nei boschi sempre più violenti: la mappa delle zone bruciate
Il 2022, il 2020, ma anche il 2017 sono stati «anni bui», per dirla con le parole di Dario Entrade, direttore operazioni di spegnimento (Dos) di Regione Lombardia. In ciascuno di questi anni sono bruciati in provincia di Brescia circa mille ettari di superficie, ovvero dieci chilometri quadrati, come se le fiamme avessero distrutto in dodici mesi un paese come Capriolo, o Rudiano o Puegnago del Garda.
Da sempre il Bresciano, e in generale la Lombardia, sono territori sensibili per gli incendi boschivi. A livello regionale, secondo i dati Arpa, tra il 1975 e il 2020 non abbiamo assistito a un trend di diminuzione dei roghi, ma a «oscillazioni interannuali»: se tra il 1900 e il 2000 è stata maggiore l’incidenza sia per eventi che per superficie bruciata, nel decennio successivo le cose sono andate meglio, fino al periodo 2010-2020, che ha registrato sì un minor numero di incendi, ma con una media di superficie bruciata più alta. Ancora diverso, e più variegato, lo scenario degli ultimi anni, con una costante: l’impegno crescente che richiedono le operazioni di bonifica.
La mappa
Grazie ai dati di Regione Lombardia, che attraverso un portale raccoglie e cataloga gli incendi boschivi, una mappa mostra le «cicatrici» lasciate dal fuoco sul territorio bresciano tra il 2017 e il 2023.
Il 2020, tra gli anni presi in esame, è il secondo per ettari bruciati (1.136, tenendo presente che un ettaro corrisponde a 10.000 metri quadrati), ma il penultimo per numero di eventi (160). «Pochi» incendi, ma estesi, come mostra la mappa che attorno al comune di Casto, in valle Sabbia, disegna due roghi particolarmente consistenti, scoppiati a distanza di poche ore negli ultimi giorni di febbraio.
Il 2022, invece, è l’annus horribilis sia per numero di incendi censiti (481), che per ettari bruciati (1.250), metà dei quali in valle Camonica, con i notevoli casi di Berzo Demo e Sonico, a cui in contemporanea si aggiunse l’emergenza in Valvestino. Tutti incendi che si mangiarono oltre 200 ettari di superficie ciascuno.
Stesso discorso per Collio, che a fine gennaio 2022 vide impegnati Canadair e volontari per diversi giorni per spegnere e bonificare l’incendio divampato in località Casantighe. Incendio peraltro scoppiato nella stessa area che già cinque anni prima, nel 2017, aveva fatto i conti con la stessa emergenza. Incendi sovrapponibili per zona e per ettari bruciati: quasi 300.
L’utilizzo della tecnologia
Il periodo di criticità è compreso tra l’inverno e la primavera, con i picchi di pre-allarme a gennaio e marzo. AllertaLom, il servizio di regione Lombardia per le allerte di Protezione civile, oltre alle più note pagine per esempio sul rischio idrogeologico o il pericolo valanghe, ha anche una scheda sugli incendi boschivi che calcola il livello di rischio basandosi sull’indice canadese, o Fwi (Fire Weather Index). Spiega Dario Entrade: «Si tratta di un indice meteorologico utilizzato in tutto il mondo, basato sulle misurazioni ambientali di vento, temperatura e umidità dei combustibili, che restituisce la suscettibilità del combustibile determinando il grado di rischio incendi in una determinata zona. Il tutto è possibile grazie alle rilevazioni delle centraline Arpa sul territorio».
Periodi di siccità o giornate di forte vento alzano ovviamente l’indice canadese, e succede con maggior frequenza. «I cambiamenti climatici – scrivono i tecnici Arpa sulla piattaforma nazionale adattamento cambiamenti climatici – possono aumentare il rischio incendio, la velocità di propagazione e le superfici interessate. Gli scenari di un aumento delle temperature e una maggiore frequenza di giorni asciutti consecutivi nella stagione estiva potrebbero alterare anche la consueta stagionalità del rischio incendi in Lombardia».

«Più che il numero di incendi, sta cambiando la loro violenza, la loro estensione e la difficoltà di spegnimento. Soprattutto – dice ancora Entrade – stanno diventando più complesse le attività di bonifica». E finché le attività di bonifica non sono concluse, l’incendio non può dirsi spento. Succede quindi che per domare le fiamme possano «bastare» due o tre giorni di intervento, ma ne servono poi molti di più per bonificare il terreno, con il conseguente impiego di più volontari e più mezzi. «A un mese dallo spegnimento delle fiamme – ricorda Entrade – a Sonico il terreno continuava a bruciare anche se nel frattempo era scesa la neve. Si chiamano incendi sotterranei, perché approfittando dell’ampio strato di secco, che può avere una profondità anche di 60 o 70 centimetri per via dell’accumulo di foglie secche, rami e radici, il fuoco continua a farsi strada, a volte oltrepassando anche il confine di sicurezza». Lunghi periodi di siccità creano insomma le condizioni ideali perché un incendio possa continuare a propagarsi a terra, e non sulle chiome degli alberi, senza per questo essere meno pericoloso.
La primavera di questo anno, particolarmente piovosa con pochi intervalli tra un temporale e l’altro ha di fatto messo in sicurezza i nostri boschi.
Proprio a causa della pioggia, però, la vegetazione è particolarmente rigogliosa e «se l’inverno sarà siccitoso – ammonisce Entrade – il bosco metterà a disposizione del fuoco molto combustibile».
Le origini dei roghi

Come fa però notare Entrade, non bastano alte temperature, terreno secco e forte vento perché parta un incendio. «In Lombardia le cause di un rogo sono naturali in meno del 3% dei casi. È capitato per esempio che – e prima erano eventi più rari – a generare un rogo sia stato un fulmine, come accaduto la scorsa settimana a Cimbergo, che può cadere ovunque e praticamente in qualsiasi stagione. Per il resto l’origine è antropica, metà delle volte è dolosa, metà delle volte è colposa».
Attribuire la responsabilità all’uomo non deve necessariamente far pensare ai piromani, ovvero le persone che appiccano il fuoco per il piacere di vedere le fiamme. Più spesso si tratta di incendiari, ossia chi appicca il fuoco per tornaconto personale, ma ancor più di persone inconsapevoli dei rischi.
L’intervento di Regione

Proprio la comunicazione delle regole di sicurezza per accendere un fuoco in posti sensibili come i boschi è uno dei capitoli dei piani locali che le Comunità montane nei territori di competenza e la Provincia per i rimanenti devono aggiornare entro la fine dell’anno su indicazione di Regione Lombardia, che a questo progetto ha destinato fondi specifici.
«L’obiettivo – spiega Entrade, che in qualità di Dos sta affiancando alcuni enti bresciani nella stesura – è calare il piano regionale Aib (antincendio boschivo) sul territorio, uniformando i dati a disposizione per conoscere lo stato dell’arte in termini di forze in campo, mezzi e infrastrutture a disposizione, e lavorare sull’analisi e la previsione del rischio, partendo dalla storicità degli eventi».
Non è una novità, i piani di assestamento provinciale hanno sempre avuto parti dedicate all’antincendio boschivo e i piani di protezione civile prevedono un piano di rischio in chiave antropica. Gli stessi piani locali sono previsti per legge dal 2000. L’accelerata voluta da Regione vuole però fare il punto per avere un quadro chiaro, e soprattutto uniforme.
Come detto, una parte riguarderà anche la comunicazione al cittadino, che deve sapere quali sono i comportamenti corretti e quali no. Conclude Entrade: «Le sterpaglie si sono sempre bruciate ed è giusto continuare a farlo, ma sapendo come e quando. Del resto, il primo incendio spento è quello che siamo riusciti ad evitare».
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