La storia criminale di Guido Badini e la strage della famiglia Graneris

La sera del 13 novembre 1975, in un appartamento di via Caduti nei Lager 9 a Vercelli, l’intera famiglia Graneris venne sterminata: il padre Sergio, la madre Itala Zambon, il fratello tredicenne Paolo e i nonni materni Romolo Zambon e Margherita Baucero. Nemmeno il cane di casa fu risparmiato. Cinque vite spazzate via a colpi di pistola, in uno dei primissimi casi di sterminio famigliare pianificato e realizzato da una figlia insieme al fidanzato. In tempi più recenti, ricorda il caso di Erika e Omar, avvenuto nel 2001 a Novi Ligure.
A ideare e compiere quel massacro furono la figlia diciannovenne, Doretta Graneris, e il fidanzato, Guido Badini, con la complicità di un terzo uomo, Antonio D’Elia, che rimase fuori dall’abitazione a fare da palo.
Doretta Graneris
Nata nel 1957, Doretta cresce in una famiglia benestante, grazie al lavoro del padre e al sostegno economico del nonno. L’adolescenza è segnata da un forte senso di oppressione: genitori severi, poche libertà, la percezione di un futuro ingabbiato. Tutto cambia quando, a fine 1972, conosce Guido Badini. Con lui si sente amata, libera, pronta a sfidare la famiglia che considera quel ragazzo un «cercatore di dote».
Il conflitto con i genitori esplode in occasione del matrimonio che la giovane vuole celebrare a modo suo. Guido e Doretta vivono insieme a Novara, lui ha ereditato una piccola fortuna dopo la morte dei genitori, ma una vita dissoluta li porta a finire presto i risparmi. È in queste circostanze che Doretta dice per scherzo «uccidiamoli e intaschiamo l’eredità»: un’uscita che diventa per Badini un’ossessione concreta. Dopo tentativi andati a vuoto di ingaggiare un killer, i due coinvolgono Antonio D’Elia, 19enne ex di Doretta, già con precedenti per violenza sessuale.
La notte della strage
La sera del 13 novembre 1975 Doretta e Guido entrano in casa Graneris. La famiglia è in salotto davanti alla televisione. È un momento di apparente normalità che dura pochi minuti. Doretta, con la scusa di recuperare un fazzoletto dal cappotto, lascia la stanza: è il segnale. Badini estrae la pistola e comincia a sparare. Diciotto colpi calibro 9, esplosi senza esitazione. Sergio e Romolo vengono colpiti alle spalle, Paolo e la nonna Margherita freddati con un colpo alla testa, Itala scovata e uccisa sotto il tavolo.
I corpi restano riversi in un lago di sangue. Anche il cane viene abbattuto, per impedire che con i suoi latrati richiami l’attenzione dei vicini. Poi la fuga, la ricerca affannosa di un alibi, le armi gettate nel Sesia. Ma un bossolo ritrovato nell’auto di Badini tradisce la coppia e indirizza subito gli investigatori sulla pista giusta.

L’arresto e il processo
La freddezza di Doretta alla notizia del massacro insospettisce gli inquirenti. Gli interrogatori svelano le contraddizioni: i due si accusano a vicenda, cercano la via della seminfermità mentale, ma ogni strategia cade davanti alle prove. Nel 1978 arriva la condanna all’ergastolo per entrambi. La Cassazione la confermerà vent’anni dopo.
Nel tempo, il carcere diventa per Doretta luogo di studi e di riscatto personale: si laurea in Architettura e ottiene la semilibertà nel 1992, seguita dalla libertà condizionale. La sua scarcerazione provoca accese polemiche: difficile concedere clemenza a chi ha partecipato a un crimine tanto orribile.

Guido Badini, l’altra metà della strage
La figura di Guido Badini appare sin da subito complessa. Figlio unico, segna la sua vita la perdita precoce del padre e, in seguito, anche della madre. Si rifugia nelle passioni per le armi, il culturismo, il tiro a segno. Diventa ragioniere, sperpera l’eredità, finisce presto in difficoltà economiche. I genitori di Doretta lo giudicano inadatto e sospettano che sia interessato più al denaro che alla figlia.
Dopo la condanna, in carcere si costruisce l’immagine del detenuto modello. Ma nel 1987 si gioca la semilibertà quando, con inchiostro simpatico, chiede a un amico di procurargli armi per un regolamento di conti. Resta dentro fino al 1994, poi torna a galla con nuovi guai giudiziari: nel 1997 viene arrestato a Brescia per traffico di droga.
La sua storia criminale non si ferma neppure in età avanzata. Nel 2024, a quasi cinquant’anni dalla strage di Vercelli, il suo nome torna alla ribalta della cronaca: secondo gli inquirenti avrebbe fornito armi al commando che gambizzò l’imprenditore Angelo Ferandi a Montichiari. In casa sua vengono trovate pistole, fucili a canne mozze e munizioni militari. Definito dal giudice «figura di riferimento per chi intende procurarsi armi», finisce agli arresti domiciliari per ragioni di età.
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