Conclave, cardinali favoriti e outsider: la geografia del potere

La Chiesa «non è un Parlamento, né un raduno politico, ma una convocazione nello Spirito». Così parlava Francesco con parole profetiche nei confronti del conclave che avrebbe eletto il suo successore.
Mai come questa volta, infatti, con così tante porpore a ritrovarsi in Sistina e con la tentazione di ragionare secondo schemi politici, quel vecchio adagio del posizionamento progressisti-moderati-conservatori, viene messo in discussione da uno scenario magmatico: ci sono porporati che appena si conoscono e si riuniscono di ora in ora in circoli e conciliaboli dell'ultimo momento, a volte secondo aree geografiche (ad esempio quella dell'ex Commonwealth che va dalla Gran Bretagna alle isola Tonga, passando per il Sudafrica); oppure cardinali che si coagulano attorno a king maker come l'americano Timothy Dolan (un po’ appannato a questo giro ma pur sempre forte del filo diretto con Donald Trump) o attorno a movimenti stessi come quello della Comunità di Sant'Egidio (in diversi convenuti a Roma per l'elezione hanno fatto visita a mons. Vincenzo Paglia).
Nella Cappella Sistina saranno in 133 – considerate le due rinunce finora confermate – ad esprimere il loro voto, espressione di correnti e pensieri differenti anche se per l'80 per cento nominati da Francesco Creati anche al di là di un orientamento simile al suo.
Resta il fatto che una pattuglia a lui avversaria e di stampo decisamente più tradizionalista e conservatrice, si è già delineata. Ecco che l'americano Raymond Leo Burke, suo fiero oppositore, e si è visto spesso entrare alle congregazioni a braccetto con il guineano Robert Sarah, protagonista anche lui di uno scontro con Bergoglio in chiave pro Ratzinger.
È anche vero che nelle ultime ore, questo fronte si sarebbe detto pronto a mollare i nomi più divisivi come il tedesco Gerhard Mueller, a favore di nomi di compromesso come il Patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa (ben visto da Cl e dalla chiesa ambrosiana che non ha un elettore in conclave); il cardinale di Budapest, Peter Erdo (già papabile nel 2013 e che non dispiacerebbe ad altri esponenti dell'Europa orientale).
Anche qui però, le carte si rimescolano: boatos recenti raccontano di un Erdo pronto a farsi indietro e a far convergere i suoi voti sulla figura anch'essa di compromesso di Pietro Parolin.

Il fronte progressista
Sul fronte progressista, quello più in sintonia con l'approccio pastorale di Francesco, rimane senz'altro la punta di diamante della Comunità di Sant'Egidio, il cardinale Matteo Zuppi, 69 anni. Ma anche qui spuntano outsider in crescita. Non solo il francese Jean-Marc Aveline che domenica a Roma ha detto messa in italiano rassicurando quanti temevano per la sua scarsa conoscenza delle lingue; il portoghese Josè Tolentino de Mendonca, che più viene fatto oggetto di attacchi dai tradizionalisti, più cresce.
Al centro si pongono le figure di mediazione, come il sempre forte segretario di Stato di Francesco, Pietro Parolin, fine diplomatico della scuola di Achille Silvestrini, ma ora preso di mira per l'accordo con la Cina. L'americano ma missionario in America del Sud, Francis Prevost, e la figura del filippino Luis Antonio Tagle, ratzingeriano di formazione e bergogliano di temperamento che accontenterebbe tutto quel fronte crescente di Chiesa asiatica che, mappamondo alla mano, rivendica ora un Papa proveniente dalla propria area geografica.
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