Caso Caffaro, LivaNova dovrà risarcire Brescia con 250 milioni
C’è chi questo esito lo riteneva scontato. Eppure, per ventiquattro anni, non lo è stato per niente. Al punto che Brescia (insieme a Torviscosa e Colleferro) non solo ha dovuto ingoiare il rospo e adattarsi ai veleni che hanno infestato terra, falda, acque, cibo e sangue dei residenti, ma è anche stata costretta ad assistere a un inquinamento che non è mai finito: un inquinamento, per citare letteralmente i giudici, che è proseguito «in modo permanente» e che, di fatto, è ancora in atto. Per questo l’idea che possa scattare una prescrizione è da archiviare: il reato di disastro ambientale è indiscutibile.
A dover risarcire con 250 milioni di euro il nostro territorio (e con oltre 453,5 milioni tutti e tre i Siti di interesse nazionale «figli» della produzione della ex Chimica) è LivaNova, la multinazionale nella quale è confluita Sorin, la scatola societaria «economicamente sana» della ex Snia (la stessa, per intenderci, in cui erano confluiti gli utili). A dirlo per l’ultima volta, come ultimo è il grado di giudizio di una trafila giudiziaria estenuante – secondo le anticipazioni raccolte dal GdB – sarebbe stata la Cassazione (sentenza e motivazioni saranno pubblicate nell’arco dei prossimi giorni), che ha chiuso così uno dei capitoli più dirimenti del dossier del disastro Caffaro: quello della responsabilità. Dimostrando che sì, «chi inquina paga».
Nel merito
Quello della Cassazione è solo l’ultimo atto di un pronunciamento storico che ha debuttato con la sentenza della Corte d’Appello di Milano e che è passato dal verdetto della Corte di Giustizia Europea. Non a caso torna sia quanto stabilito dai giudici Domenico Bonaretti, Maria Iole Fontanella e Angela Scalise, sia quanto sancito nel dispositivo Cgue 642 della Corte di Lussemburgo: una scissione societaria non può essere un mezzo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti commessi da un’impresa a spese dello Stato, di altri enti e, soprattutto, dei cittadini.
La scissione
«La regola della responsabilità solidale delle società beneficiarie – dicono i giudici – si applica non soltanto agli elementi di natura determinata del patrimonio passivo non attribuiti in un progetto di scissione, ma anche a quelli di natura indeterminata, come i costi di bonifica e per danni ambientali che siano stati constatati, valutati o definiti dopo la scissione». Diversamente, se così non fosse, «una scissione potrebbe costituire un mezzo per un’impresa per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti da essa eventualmente commessi, a discapito dello Stato membro interessato o di altri eventuali interessati».

È vero: LivaNova non è direttamente responsabile del disastro ambientale con cui si sono trovate faccia a faccia Brescia, Torviscosa e Colleferro, ma Sorin sì. E la multinazionale non poteva non sapere. Ecco perché non si può parlare di mancata responsabilità nell’inquinamento dell’ultima compagine societaria: essendo Snia «sempre stata consapevole delle proprie responsabilità ambientali», lo era anche Sorin e, quindi, LivaNova che l’ha acquisita. La vecchia Snia, infatti, venne scissa in due società distinte: da una parte Snia-Caffaro, comparto chimico che fu fatto finire su un binario morto, con i conti in rosso (finì poi in liquidazione nel 2009) e dall’altra parte Sorin, comparto biomedicale con circa 500 milioni di euro di attivo. Una nuova architettura che portò – il 2 gennaio 2004 – a ricollocare in Borsa le due aziende separatamente, come se fossero delle nuove società.
I fondi
Cosa succede adesso? LivaNova deve versare quanto dovuto per tutti e tre i Siti di interesse nazionale: oltre 453 milioni di euro, 453.587.328,48 per la precisione. Una cifra calcolata sì sulla base della ricognizione e dei conteggi effettuati dai consulenti tecnici, ma che ha dovuto tenere conto del fatto che, per legge, la richiesta di risarcimento non può superare il valore del capitale utilizzato nel 2004 per la nascita di Sorin (i famosi 500 milioni della scissione, per l’appunto).
Due fronti
La destinazione del risarcimento resta quella effettuata dal Tribunale di Milano. Ci sono però due fronti che questa ripartizione non ha preso in esame e che spetta alla politica, ora, affrontare e gestire: i territori sfigurati dagli scarti della Caffaro, come la discarica Vallosa, tra le più pericolose d’Italia, incastonata nel bel mezzo della Franciacorta. E, soprattutto, coloro che tutti si sono sempre dimenticati: i cittadini, le famiglie, gli agricoltori (come Pierino Antonioli, a cui è stato sequestrato tutto perché tutto, anche il suo sangue e quello dei suoi figli, era infestato dai Pcb), il che significa aprire il capitolo della bonifica di orti e giardini privati. Perché non è solo importante che chi inquina paghi, ma è anche importante che ad essere risarcito sia prima di tutto chi il danno lo ha subìto direttamente.
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