Brescia cresce senza sosta: il lavoro cambia volto e rivoluziona la scuola

«Lo sviluppo industriale durante il 1960, nella nostra città, è stato nervoso e pressante; ne va dato merito alle categorie imprenditoriali che hanno immediatamente sensibilizzato la situazione e si sono buttate con ottimismo nel rischio di nuovi impianti che a loro volta danno origine ad una maggiore massa di produzione, e quindi ad un maggior benessere». È l’incipit di un articolo del Giornale di Brescia datato 5 gennaio 1961 che testimonia come ormai l’agognata ripresa sia davvero in atto. Ma l’aspetto più curioso è che il pezzo non verte sull’economia rinata, ma su un’infrastruttura cittadina ormai sottodimensionata: «Lo scalo alla “Piccola” inadeguato al traffico». Le merci mobilitate sullo snodo ferroviario sono tali da creare frequenti intasamenti.
Decisamente lo specchio dei tempi del primo scorcio degli Anni ‘60: aumentano produzione e benessere, la città deve adeguarsi (e così la provincia). Come? Espandendosi, creando nuove infrastrutture, sviluppandosi per poli produttivi e di aggregazione. La nostra provincia conosce una crescita vorticosa: uno studio Tagliacarne pubblicato sul GdB del 6 novembre ’64 documenta come il reddito tra il ’62 e il ’63 nel Bresciano sia lievitato del 14,3%. Quello pro capite di un bresciano è balzato a 374.831 lire annue (+12,9%). Ma tale dato, spiega l’analisi è frutto «di andamenti opposti: incremento sensibile dei settori: industriale, terziario e della pubblica amministrazione (+ 20,7%), diminuzione sensibile del prodotto del settore agricolo (-9,3%)». Di conseguenza, il territorio muta pelle: si svuotano le campagne e aumenta l’inurbamento, nel capoluogo come nelle «capitali» industriali.
Cresce la città
Prima conseguenza è l’espansione demografica e urbanistica del capoluogo. Ne è specchio l’inchiesta a puntate sui flussi migratori interni ed esterni alla provincia che, attingendo a pubblicazioni dell’Associazione bresciana di ricerche economiche (Abre), il GdB pubblica dal 17 aprile ’63. Sono circa 15mila i bresciani che si sono spostati dalle varie aree del territorio verso la città nel decennio 1951-60, ma forte è pure il pendolarismo quotidiano verso Milano. E la tendenza è amplificata nel triennio successivo: ben 270mila i bresciani che «migrano» tra Comuni della provincia o verso altri territori. La Leonessa secondo «l’ultimo rilevamento» menzionato in un articolo del 9 gennaio ’64 ha toccato i 183.189 abitanti: «I residenti a Brescia aumentano di circa seimila unità all’anno» recita il titolo del servizio, fotografia di un trend oggi impensabile.
Si delineano pure nuove criticità: «La città si sta allargando senza oasi di verde pubblico» si titola il 13 settembre ’63. L’opera che rende più evidente l’espansione urbanistica è il cavalcavia ferroviario poi intitolato a Kennedy (assassinato due anni più tardi): è inaugurato il 5 novembre 1961. Finanziato dalla Loggia con 800 milioni di lire, è l’anello di congiunzione, nel Piano regolatore approvato il 3 marzo ’60, tra il cuore della città e il centro direzionale da 800mila mq immaginato oltre la linea ferroviaria: la futura Brescia Due. L’accresciuta esigenza di spostamenti porta anche alla nascita della prima autostazione Sia in città: i lavori scattano nel gennaio 1964.
Strade e incidenti
Anche le grandi arterie periferiche si estendono, a partire dall’A4, di cui è inaugurato il tratto Brescia-Verona il 16 luglio ’60. Spunta poi il progetto del «raccordo anulare» fra tre statali, una provinciale e un’autostrada: ne scrive il GdB il 24 gennaio ’64. Si tratta di quell’arteria poi ribattezzata Corda Molle, ancora di estrema attualità 61 anni dopo. In proporzione aumentano anche gli incidenti stradali: nel 1963, l’inaugurazione dell’anno giudiziario indica proprio in essi una delle principali piaghe del territorio, con un incremento annuo di 44 unità dei sinistri mortali (da 200 a 244).
Lavoro, luci e ombre
Nel quadro di una provincia sempre più dinamica e vocata al fare, muta anche il mondo del lavoro. La forte industrializzazione porta con sé, rovescio della medaglia, un aumento degli infortuni, spesso fatali: tra il luglio ’61 e il luglio ’62 nel Bresciano si contano 215 vittime (111 nel settore metalmeccanico, 42 nell’edilizia, 62 nell’agricoltura), come racconta il GdB del 25 ottobre di quell’anno. C’è poi la piaga del lavoro nero: un’inchiesta del 1963 fotografa il largo ricorso nel tessile alla manodopera femminile sotto i 15 anni, illegale già allora. E sul piano sanitario persiste il dramma di un contesto di fatto oggi scomparso: quello dei minatori.
Molti di loro cadono vittime di silicosi: lo racconta il quotidiano dal 23 aprile ’61 con una inchiesta in sei puntate firmata da Mino Pezzi – direttore fra il ’49 e il ’54, all’epoca caporedattore –, che in un viaggio tra i principali siti minerari delle valli fotografa un fenomeno che nei decenni ha mietuto migliaia di vite umane, parte per l’inadeguatezza delle dotazioni, parte per l’insofferenza degli stessi lavoratori a maschere e altri presìdi. Ma a mutare sono anche le dinamiche del terziario, settore che cresce prepotentemente. Nel commercio, ad esempio, il 1963 porta con sé anche la cosiddetta «corta», la chiusura degli esercizi – fatte salve specifiche categorie – il lunedì mattina. L’anno dopo, racconta il GdB, sarà il prefetto a varare le prime deroghe, per le località turistiche. Ma la novità forse più rilevante arriva ai primi del ’61: il GdB del 6 gennaio riporta la notizia della storica sentenza della Cassazione che sancisce la parità salariale fra uomo e donna.
Rivoluzione a scuola
Per una società che cambia, anche la formazione deve farsi carico di istanze nuove. All’ampliamento della platea degli alunni, spinta da crescita demografica e ritrovato benessere, coincide il ripensamento, in particolare, della scuola media: nel 1962 nasce quella unica (sparisce l’«avviamento»), gratuita e obbligatoria per tutti gli under 14 portata dalla legge del ministro Luigi Gui. Il GdB fa il punto nell’imminenza dell’avvio dell’anno scolastico 1963/64, fissato ancora al 1° ottobre. In città, la riforma porta con sé due nuovi istituti (via Grazie e villaggio Badia).
E nel complesso la provincia pare cavarsela bene anche a fronte delle nomine rimodulate e dei nuovi assetti (gli istituti diventano a classi miste): Brescia, si scrive, non è come Milano, dove «ora in un istituto ci sono 12 iscritti, 450 in un altro». Ma la visita del ministro Gui a gennaio ’63, in occasione del ventennale della battaglia di Nikolajewka, è l’occasione per fare pressione perché Brescia abbia una sua sezione del Politecnico, veda riconosciuti i titoli dell’istituto professionale per il commercio e la statalizzazione dei corsi serali dell’Itis Castelli. Si cerca insomma di adeguare la formazione alle urgenze della produzione. Prima ancora che si parlasse di mismatch...
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