Un anno di pandemia: C come Cig, concerti, carnevale, cinema

Dalla cassa integrazione al cinema, passando per il cordoglio: il coronavirus ci ha riportati ad un angosciato stupore di fronte alla realtà
Cassa integrazione (simbolica) - Foto Ansa  © www.giornaledibrescia.it
Cassa integrazione (simbolica) - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Coronavirus

Si chiama così per la corona, ossia per la proteina spike che ne decora la superficie. Ma il virus ha una corona anche nel senso che è diventato sovrano delle nostre vite. Una sovranità che non gli abbiamo certo ceduto volentieri. Anzi, ce l’ha portata via strappandocela in maniera traumatica. Esattamente come ci ha strappato via i nostri affetti. Migliaia e migliaia. Il coronavirus è stato uno shock. Non solo per i tantissimi lutti, ma anche perché ha rimesso a nudo la nostra fragilità. Una fragilità dalla quale abbiamo pensato di esserci affrancati, dopo secoli o addirittura millenni di ricerca, grazie al moderno apparato tecnoscientifico. Il coronavirus è un evento sconvolgente che ci ha riportato a una condizione di angosciato stupore di fronte alla realtà. In un primo momento, seguendo il modello di Elisabeth Kübler Ross, psichiatra svizzera esperta nella comunicazione di malattie mortali, tutte le società hanno attraversato, al pari di individui di fronte a una diagnosi infausta, la fase della negazione: si è detto che il virus non esisteva o che non era poi così grave. Quindi sono stati cercati i colpevoli, gli untori verso cui indirizzare la rabbia. Ma ci sono state anche la speranza che ne saremmo usciti in breve tempo adottando certi comportamenti e la depressione dopo la constatazione che non è andata così. L’ultimo stadio è l’accettazione razionale, che in questo caso però potrebbe rivelarsi ancora di salvezza. Proprio alla razionalità oggi più che mai è necessario appellarsi per provare a uscire da un incubo che dura già da oltre un anno.
Marco Tedoldi

 

Cordoglio

Il dolore collettivo che supera il lutto dei singoli per diventare lamento funebre di un’intera comunità nel segno del ricordo. Nel 2020 a Brescia ci sono stati tre momenti particolarmente solenni in cui si è fatto memoria delle vittime Covid della prima ondata. Tre momenti di raccoglimento e di preghiera, laica e cristiana, che si affiancano a quelli celebrati nei paesi della provincia.

Il primo il 12 maggio quando il virus cominciava ad allentare la presa. Nel silenzio agghiacciante del cimitero Vantiniano deserto il vescovo Pierantonio Tremolada celebrò le esequie di trecento morti per il virus. La prima messa, il primo addio consentito dalle norme. Un grido di dolore, l’invocazione della speranza davanti a trecento urne con le ceneri di bresciani portati via dal virus.

Il secondo momento il 10 luglio, nella chiesa di S. Maria del Carmine, nella tregua estiva del Covid: il concerto con la musica di Vivaldi e le parole di Jacopone da Todi per ricordare le vittime. La città che non vuole dimenticare.

Il terzo momento il 13 settembre, in piazza Paolo VI, riempita dai sindaci bresciani e dai rappresentanti delle associazioni battutesi in prima linea per limitare i danni del virus. Ancora la messa con il Vescovo, che espresse il cordoglio generale, sottolineando il modo migliore per ricordare i morti: «Agire per rendere migliore la società».
Enrico Mirani

Cassa integrazione

Virus, contagi, dolore, lockdown e fabbriche chiuse. Quasi tutte per oltre settanta giorni. Uno scenario inimmaginabile. Il Covid si è diffuso silenziosamente nelle strade vuote di Brescia sconvolgendo la nostra quotidianità: da metà marzo, per oltre due mesi, gran parte della forza lavoro (stiamo parlando di una provincia che vanta oltre 550mila addetti su una popolazione di un milione e 200mila di abitanti) ha smesso la tuta sporca d’olio e senza volerlo si è ritrovata dal lunedì alla domenica nella cucina di casa a sfornare torte alla crema, con in tasca la busta paga contrassegnata da una sola voce: quella della cassa integrazione guadagni.

Solo nel mese di aprile del 2020, l’Inps ha autorizzato nella nostra provincia 30,6 milioni di ore di cig. Una cifra esorbitante se si pensa che il mese precedente, l’Istituto italiano della previdenza aveva concesso alle nostre imprese 253mila ore di cig. Senza peraltro dimenticare che fino ad allora il triste record degli ammortizzatori sociali Brescia l’aveva registrato a fine 2010, quando nell’intero anno (e non in un solo mese) l’Inps aveva autorizzato 59,6 milioni di ore di cassa integrazione per lenire gli effetti che la crisi finanziaria generata dai subprime americani aveva scaricato sul nostro territorio.

Ebbene, la crisi da Covid ha avuto conseguenze molto più pesanti, tant’è che Brescia, al 31 dicembre 2020, ha segnato un nuovo primato in termini di cig, con 92,6 milioni di ore autorizzate dall’Inps. Un trend che si specchia comunque in quello nazionale: nel 2020, in tutta Italia, sono state concesse oltre 4 miliardi di ore di cassa integrazione.

Con il passare dell’estate, fortunatamente, l’utilizzo di questo sussidio al reddito è andato via via diminuendo. Determinante, in tal senso, è stato anche l’utilizzo dello smart working; Confindustria Brescia stima che almeno l’80% dei suoi associati abbia fruito di questa tecnologia, garantendo risultati soddisfacenti. Resta il fatto che il tessuto manifatturiero bresciano resta caratterizzato da una virtuosa manualità, quel «saper fare» con cui sporcarsi le mani e che in nessun modo si può praticare «da remoto». Dopotutto, avete mai visto un tornitore lavorare un pezzo d’acciaio seduto sul divano di casa?
Erminio Bissolotti

Concerti pop-rock

Una lunga sequenza di rinvii, in più tappe. In nome prima della speranza e poi di una presa d’atto che, comunque, non sembra essersi tramutata in scoramento. E con due momenti significativi a tenere accesa la fiammella.

Se c’è un settore dello spettacolo ch’è stato colpito ancor più di altri è quello dei concerti pop-rock. E si capisce. I live sono fatti di canti e urla, voglia di ballare e saltare a stretto contatto fisico, masse che stanno in fila, attendono gomito a gomito, si scatenano.

I promoter prima hanno spostato in là di qualche settimana, poi hanno confidato nell’autunno, quindi hanno rinviato alla primavera 2021, adesso sanno già che l’orizzonte sarà ottobre/novembre per gli appuntamenti non da migliaia di spettatori e il 2022 per gli eventi con i Grandi e Grandissimi.

Nel settembre scorso si è riusciti ugualmente a portare in piazza Paolo VI due personaggi del calibro di Francesco Gabbani e di Daniele Silvestri. Un recente bis-vincitore a Sanremo e un artista di culto.
Silvestri, in particolare, nell’intervista al nostro giornale definì il concerto «un segnale di speranza»: «Mentre pianificavamo il calendario, sembrava impossibile avvicinarsi alla Lombardia. Quando è stata confermata la data di Brescia, per annunciarla non mi è bastato un comunicato di servizio. L’obiettivo di questo tour era ed è quello di portare spensieratezza e gioia, soprattutto nei luoghi più colpiti… Brescia rende tutto ancora più forte, più sensato».
La sua è rimasta una parentesi. Ma la musica non si arrende.
Maurizio Matteotti

Carnevale

Di immagini forti ne abbiamo viste tante durante questo anno di pandemia: i reparti di terapia intensiva, i camion dell'esercito allineati lungo le vie di Bergamo, le mani tese verso teli trasparenti nelle stanze degli abbracci.
Eppure, dopo un anno, il primo vero brivido l'ho provato davanti al volantino di un supermercato, alla pagina dei costumi di carnevale per bambini.

Più dei feretri di Bergamo, la mia città, a farmi mancare per un attimo il respiro è stato un allegro costume di carnevale: mi ha ricordato l'esatto momento in cui le nostre vite sono entrate nella dimensione del tempo sospeso. Un anno fa le scuole chiudevano prima che i bambini potessero festeggiare il carnevale, per settimane ci siamo illusi di poter riprendere da dove avevamo lasciato, con coriandoli e stelle filanti in tasca pronti a richiamare la festa.

Il tempo è parso scorrere lineare attraverso le stagioni, tra un'ondata e l'altra, ma il ripresentarsi del primo «evento» cancellato dal Covid ci ha ricordato che in realtà abbiamo compiuto un giro. Si è concluso il primo anno di pandemia e questa volta abbiamo festeggiato il carnevale, coi bambini che d'istinto, con una mascherina per le mani, si son coperti la bocca e non il viso.
Giovanna Zenti

Cinema

I dati parlano chiaro: il 2020 è stato un anno nero per il cinema in sala. I dati Cinetel fanno impressione: -71% di incassi e biglietti staccati nell’anno, che salgono a -93% nel periodo da marzo a fine dicembre. In Italia nel 2020 i cinema hanno registrato un incasso complessivo di 182.5 milioni di euro per un numero di presenze pari a circa 28 milioni di biglietti venduti: con un decremento appunto del 71%, che sale al 93% se si considerano i dati dall’8 marzo, per una differenza negativa di oltre 460 milioni di euro.

La mazzata è arrivata in un momento felice per il cinema in sala: alla fine di febbraio 2020 il mercato cresceva in termini di incasso di più del 20% rispetto al 2019. A Brescia come altrove i cinema si chiudono. Tra le belle iniziative che accompagnano questo triste periodo, L’Eden in salotto (sul sito del cinema Nuovo Eden) propone film scelti in streaming, con buon successo.

Coprifuoco, controlli

In tempi più recenti è stato il coprifuoco. Ma prima è stato controlli e carabinieri che significa anche Polizia di Stato, polizie locali e guardia di finanza. Nel primo anno dell'era Covid le limitazioni alle libertà di ciascuno sono state forse uno degli aspetti più sentiti e contemporaneamente le forze di polizia si sono trovate davanti ad un lavoro nuovo, per molti versi spiacevole. Non più, o meglio non solo, il contrasto ai reati ma anche l'obbligo di controllare, ed eventualmente sanzionare, chi per scelta, per confusione o per necessità violava una delle molte norme imposte dai Dpcm che si sono succeduti. 

Prima ancora del coprifuoco i soli controlli hanno cambiato il volto della nostra città e della nostra provincia. Ne abbiamo avuto una fotografica dimostrazione nei giorni delle vacanze di Pasqua, il risveglio di primavera che tradizionalmente segna la ripartenza del turismo. Il pomeriggio di Pasquetta, oltre allo sciabordare delle onde del lago, l'unico rumore sul lungolago di Desenzano erano i passi degli anfibi delle pattuglie di carabinieri appiedati. Il parcheggio davanti al Castello di Sirmione, normalmente inavvicinabile, era vuoto fatta eccezione per la gazzella del Radiomobile con i lampeggianti accesi. In quei giorni l'imperativo era evitare l'esodo verso le seconde case e dal Garda al Sebino e alla Valcamonica i controlli sono stati capillari.

Il Questore aveva disposto l'utilizzo di strategie antiterrorismo, creando veri e propri imbuti per i posti di blocco della Polizia Stradale sulle principali arterie stradali. Il sistema ha funzionato: strade e piazze sono rimaste deserte e le sanzioni sono state poche decine.
Con il calo dei contagi nei mesi più caldi e le molte riaperture il tema dei controlli si è fatto ancora una volta centrale e ha dovuto mettere l'obiettivo sulla movida. I centri storici presi d'assalto dopo mesi di chiusura, la comprensibile voglia di socialità soprattutto dei più giovani sono state le emergenze da monitorare.

E purtroppo, ancora una volta, tra sanzioni e presidi i controlli hanno evidenziato la necessità di provvedimenti più restrittivi e si è arrivati al coprifuoco: prima alle 23 e poi alle 22. Per alcune attività commerciali e per i ristoranti, che non hanno più potuto aprire per il sevizio della cena, è stato l'ennesima batosta finanziaria. Per il popolo della movida è stata un buon deterrente. Le riaperture dei negozi in vista del Natale hanno avuto come altra faccia della medaglia il pienone nei centri storici e nei centri commerciali portando ad invocare ulteriori controlli e nuove chiusure. Zona rossa nei fine settimane e nei festivi e poi la zona gialla. E ancora una volta i controlli e le oggettive difficoltà di militarizzare i centri storici hanno riportato in primo piano il tema del complesso rapporto tra prevenzione, educazione e repressione. 

Le migliaia di ragazzini fuori controllo in piazza Vittoria, piazza Tebaldo Brusato e piazzale Arnaldo sono storia recente: le forze di polizia sono intervenute su risse, furti e rapine ed anche per provare a disperdere gli assembramenti. Ma situazioni di questa portata devono essere affrontate da tutte le istituzioni, non solo dalle pattuglie sulla strada. Ad un anno dallo scoppio della pandemia insomma il tema dei controlli, del coprifuoco e della presenza dei carabinieri, e dei loro colleghi in divisa, nelle strade resta centrale.
Paolo Bertoli

 

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