«In questi ultimi 20 anni la Caffaro ha inquinato senza sosta»

Dopo il sequestro, ora Caffaro Brescia è senza una guida, i lavoratori: «Qualcuno ci ascolti»
CAFFARO, UN CASO IRRISOLTO
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«Quello che è mancato in questi vent’anni è la messa in sicurezza in emergenza del sito industriale, che ha continuato ad inquinare senza sosta». L’inchiesta della Procura di Brescia, che ha portato al sequestro della Caffaro di via Milano, sembra aver svelato una verità lapalissiana, di cui tutti hanno sempre saputo (l’Arpa lo denuncia da una decina d’anni), ma che pare far breccia solo ora nelle istituzioni.

L’Agenzia regionale almeno dal 2015 segnala dell’inadeguatezza della barriera idraulica e dell’eccessiva quantità di veleni che la Caffaro continua a sversare nell’ambiente, ma nonostante ciò è dovuta intervenire la magistratura perché si arrivasse ad una presa di coscienza definitiva di un «carcinoma che va estirpato», parole pronunciate dal procuratore capo Francesco Prete.

Al di là dell’inchiesta in corso e delle responsabilità penali, ci sono delle inadempienze evidenti che l’assessore all’Ambiente della Regione Lombardia, Raffaele Cattaneo, attribuisce al Ministero: «Trattandosi di un Sin - ha dichiarato ieri sera ospite della trasmissione Messi a fuoco - un sito di interesse nazionale dal 2003, lo Stato avrebbe dovuto preoccuparsi della messa in sicurezza dell’area». Parole condivise dall’assessore all’Ambiente del Comune, Miriam Cominelli, che ha ricordato le difficoltà avute dal Comune «che in questi anni si è confrontato con cinque governi».

Lo stesso commissario straordinario, Roberto Moreni, è stato critico con l’operato del Ministero dell’Ambiente, perché «impigliato nelle maglie della burocrazia che rallenta ogni procedura e che, così, spesso non decide».

Ospite di Andrea Cittadini anche Marino Ruzzenenti, dalla cui inchiesta pubblicata nel 2001 è scoppiato il caso Caffaro, che pur non puntando il dito contro questa o quella istituzione (quasi a dire che le responsabilità andrebbero divise per quota parte) ha precisato che «il sito industriale è stato abbandonato, nonostante fosse palese i rischi per l’ambiente e per la salute». «La bonifica sarà un’impresa ciclopica - ha quindi concluso il prefetto, Attilio Visconti, che tre giorni fa ha istituito l’Osservatorio Sin Caffaro, «ma oggi c’è un piano di bonifica che bisogna attuare».

L’inchiesta della Procura ha, inoltre, decapitato i vertici dell’azienda Caffaro Brescia srl, da cui dipendono i 35 operai che oggi mantengono in funzione la barriera idraulica. Sul futuro di questi lavoratori c’è grande incertezza e preoccupazione. «Stanno continuando a lavorare - ha spiegato Patrizia Moneghini, Rsu Cgil - ma abbiamo bisogno di capire con urgenza chi ha la responsabilità giuridica e amministrativa del personale». Anche perché, al momento, i dipendenti restano l’unico presidio di sicurezza per la città: sono loro a «salvarci» da un’altra potenziale bomba ecologica pronta a esplodere nel momento in cui venisse spenta la barriera idraulica.

 

 

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