Sin Caffaro: «Area abitata la più esposta ed è uguale al 2001»

A dirlo è l'ex assessore in Loggia Ettore Brunelli :«Si è ripreso a coltivare, ma nessuno ha più controllato i valori di Pcb»
Una veduta dell'alto dell'area dell'ex stabilimento Caffaro - © www.giornaledibrescia.it
Una veduta dell'alto dell'area dell'ex stabilimento Caffaro - © www.giornaledibrescia.it
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Non è esploso tutto in un momento, nel pieno dell’estate di vent’anni fa. Ma se davvero «un momento» preciso dev’essere stabilito sulla linea storica e temporale, quello corrisponde a ben prima dell’agosto 2001: a scoperchiare il «caso Caffaro» per primo, innescando l’allarme istituzionale, è stato l’allora presidente della IV Circoscrizione, Maurizio Margaroli. Fu lui, nel settembre del 2000, a segnalare la fuoriuscita di mercurio che stava contaminando le acque.

A ricordarlo e a raccontare di quegli anni - rispondendo anche alle parole riportate da Marino Ruzzenenti nel suo ultimo libro - è l’ex assessore all’Ambiente, Ettore Brunelli: nel suo studio, la storia del Sito di interesse nazionale è raccontata attraverso centinaia di documenti e file riposti nei faldoni o salvati digitalmente.

«Nessuno ha dovuto avvisare il Comune di alcunchè, perché dopo quell’allarme ci si è attivati subito. Non c’è stato insabbiamento: abbiamo fatto tutto ciò che era possibile, in quel momento e con le leggi di allora, contro Caffaro Chimica, che avanzava ricorsi al Tar ogni volta, contese sempre vinte dalla Loggia». Ma la vera svolta fu l’auto-caratterizzazione dell’area effettuata dall’azienda stessa nel dicembre del 2000: «Fornirono due tomi di dati sullo stato dei siti industriali: quel che si è saputo inizialmente della situazione dentro il sito è proprio grazie a quel lavoro, che fu depositato in Comune nell’estate del 2001. Noi però eravamo già al lavoro con l’allora Asl».

Brunelli non vuole parlare troppo del passato («ci sono urgenze d’oggi di cui preoccuparsi e sulle quali riflettere»), ma un dato tiene a precisarlo: «Brescia era tutta contaminata da Pcb e diossine, perché aveva un carico industriale densissimo: ovunque il valore riscontrato era superiore a 1, ovvero al parametro di allora. C’era un livello di fondo medio già alto alla base: quello italiano era di 11. L’Istituto superiore di sanità ha poi deciso che il riferimento da tenere fosse quello di 60 mg/metro cubo. Lo decise l’Iss non il Comune di Brescia».

Insomma, la nostra provincia aveva uno strato di contaminazione di base che non si poteva ignorare e che derivava dagli effetti di un mix di attività industriali pesanti. Tanto che, quando la Loggia decise di bonificare l’asilo Lo scoiattolo, a Chiesanuova (non incluso nel Sin), asportandone il terreno, si consumò una vera caccia al tesoro: «Da nessuna parte siamo riusciti a trovare una terra che avesse valori di Pcb inferiori a quell’1» ribadisce Brunelli. E infatti, alla fine, si utilizzò un terreno argilloso.

Secondo l’ex assessore - ora voce della Consulta per l’ambiente - il fronte su cui concentrarsi oggi è però un altro. «Il quartiere è ancora tutto uguale, è rimasto fermo al 2001 e questo non è accettabile». Cioè? Per spiegarlo bisogna tornare ancora per un attimo ai primi anni Duemila. «Io e l’ing. Angelo Capretti abbiamo preso il sacco in cima: c’erano tre aree verdi, tra orti e giardini, che avevano un livello di diossine che oscillava tra 800 e mille (a fronte di un parametro massimo fissato a 10). Si trattava di aree private, residenziali. Ma abbiamo fatto prevalere il discorso della salute pubblica e investito 250mila euro per bonificarle. Questo ci è servito poi anche come una sorta di prova generale per capire come si sarebbe dovuto svolgere il risanamento, perché le caratterizzazioni eseguite dall’azienda nel sito industriale valevano solo al suo interno, fuori era tutto in capo al Comune, bisognava lavorare da zero». Da allora, le parti residenziali, al Primo Maggio e a Fiumicello, sono rimaste invariate.

Il muro perimetrale del vecchio stabilimento Caffaro - © www.giornaledibrescia.it
Il muro perimetrale del vecchio stabilimento Caffaro - © www.giornaledibrescia.it

«La ricerca dell’Istituto Mario Negri ha evidenziato che i Pcb mutano e che sono solubili: questo significa che entrano nella catena alimentare. Eppure nessuno ha battuto ciglio, nessuno sta agendo» denuncia Brunelli. Che chiarisce: «In queste aree si coltivano gli orti, è stata da tempo riattivata la catena alimentare, ma chi sta mangiando quei prodotti che livelli di Pcb ha nel sangue? Non si sa, perché non sono stati testati. Questo aspetto è stato completamente rimosso, ma è quello che più dovrebbe interessare: l’impatto sulla salute, un tema che bisogna porsi e che dovrebbe porre per prima l’Ats». Per questo la strada, ora che il progetto per risanare la cittadella industriale è definito, dev’essere quella di riscrivere le priorità.

«Bene l’intervento sullo stabilimento, ma l’Amministrazione deve occuparsi delle aree residenziali. Ribadisco: la zona abitata è tale e quale al 2001. Se avessi fatto il commissario, ed è quello che ho detto anche al Ministero quando mi ha chiamato, la prima condizione inderogabile era che si guardasse all’esterno Caffaro. Quel che mi ha sempre preoccupato, fin da quando ero assessore, è che lì ci sono persone esposte tutti i giorni agli inquinanti, ci sono i bambini che giocano nei cortili e nei giardini delle case, c’è chi coltiva e mangia i prodotti dell’orto. Il Comune ha bonificato e sta bonificando le sue aree, quelle pubbliche.

Ed è vero - rimarca Brunelli -: i bimbi vanno al parco, ma stanno più ore a casa e giocano quindi più ore nel proprio di giardino». Certo è che non si possono obbligare i privati a pagare i danni di un inquinamento subìto. «Ovvio, ci sono tuttavia modi per attivare questo processo - ribatte l’ex assessore -, prima di tutto trovare i fondi attraverso la Banca europea e il Pnrr. E l’Amministrazione comunale non può non occuparsene».

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