Ogni anno in provincia di Brescia vengono trasfusi 17mila litri di sangue
Ogni anno in provincia di Brescia vengono trasfusi 17mila di litri di sangue. Un dato che, di per sé, è già sufficiente per capire la fondamentale importanza sia di questo tessuto non riproducibile in laboratorio e che salva moltissime vite sia delle migliaia di volontari dell’Avis la cui generosità è impagabile. Nel senso letterale del termine, perché la donazione del sangue è gratuita e non può essere remunerata in alcun modo, tanto che nel nostro Paese la donazione a pagamento è perseguibile per legge.
Ai donatori è dedicata la «Giornata mondiale del donatore di sangue» che si celebra oggi, mercoledì 14 giugno, prevede una serie di iniziative anche nella nostra provincia. «L’attività della donazione di sangue è spesso misconosciuta e non sufficientemente valorizzata nella sua importanza cruciale per fornire un "farmaco", non altrimenti sostituibile, che gioca un ruolo fondamentale nel campo medico-chirurgico, in particolare nei poli-traumatizzati, nei trapianti di organo solido e nei pazienti oncoematologici» affermano Camillo Almici e Gabriele Pagliarini, rispettivamente direttore del Servizio immunotrasfusionale dell’Asst Spedali Civili e presidente provinciale Avis (Associazione volontari italiani del sangue).
Chi sono i donatori
I donatori sono importanti. Fondamentali. In provincia di Brescia ce ne sono oltre 35mila grazie alla costante e instancabile attività di arruolamento di Avis, la realtà attiva su tutto il territorio eccetto quello di Palazzolo dove opera la Croce Rossa.
Il problema è che a donare sono persone sempre più anziane: il 46% dai 46 anni in su, il 25% dai 36 ai 45 anni e il rimanente sotto i trentacinque anni. «I giovani sono molto generosi e rispondono all’appello quando ci sono delle emergenze, ma il problema è mantenere un numero costante di donatori nel tempo - spiegano i nostri interlocutori -. Solo garantendo il turn-over dovuto all’età (le donazioni si possono fare dai 18 ai 60-65 anni, valutando caso per caso) si potrà garantire l’autosufficienza del Sistema trasfusionale a livello nazionale, regionale e locale. Negli anni le richieste di trasfusioni sono in aumento perché sono aumentate la vita media e le terapie: da noi il fabbisogno è garantito grazie al grandissimi impegno dell’Avis e alla certezza di poter sempre contare sulla generosità dei donatori».Dove va il sangue donato
Che fine fa il sangue che viene donato? Intanto, tutte le sacche confluiscono al Servizio trasfusionale dell’Ospedale Civile, centro di lavorazione e validazione delle unità di sangue ed emocomponenti raccolte nella macroarea del Dipartimento di Medicina trasfusionale ed ematologia della Provincia di Brescia comprendente i Servizi di Immunoematologia e Medicina trasfusionale inseriti in aziende diverse: Asst del Garda, Asst della Franciacorta, Asst della Valcamonica, articolazioni organizzative e unità di raccolta associative afferenti a ciascun Servizio.
«Tutto confluisce qui e da qui riparte, in base alle esigenze sia degli ospedali pubblici sia dei privati convenzionati - spiega Almici -. Nell’arco della giornata dal sangue vengono elaborate tutte le emocomponenti. L’importante è mantenere un equilibrio tra le unità che entrano e quelle che escono: se ne abbiamo troppo, il rischio è che il prodotto scada, se ne abbiamo poco siamo in sofferenza e riusciamo a rispondere con difficoltà alle richieste che arrivano dagli ospedali e dalle case di cura». La carenza di sangue si verifica, in genere, nel periodo estivo, soprattutto in luglio quando i donatori sono in vacanza, ma anche nei primi mesi dell’anno.
Conclude il dottor Camillo Almici: «È importante anche saper equilibrare la raccolta in base al fabbisogno per evitare che gli emocomponenti scadano se non utilizzati. I globuli rossi - adeguatamente conservati - durano 42 giorni; quelli bianchi al massimo 24 ore; le piastrine cinque giorni e il plasma fino a due anni.
A cosa serve
Quasi la metà del sangue donato viene utilizzata nei reparti di oncologia, mentre il 90% delle piastrine servono in ambito ematologico. La storia di Paolo, che a 34 anni si è ammalato di leucemia mieloide acuta, è emblematica di quanto sia prezioso e fondamentale il sangue donato. Dal 30 ottobre 1998 al 6 luglio 1999 per Paolo sono state utilizzate 44 unità di emazie, trenta di piastrine aferesi e dieci unità da singolo donatore. In nove mesi per curare Paolo è stato necessario utilizzare il sangue di 124 donatori.
La storia di una sola persona può essere moltiplicata per le migliaia che ogni anno vengono curate nelle strutture sanitarie bresciane. Nel 2022, ad esempio, sono state trasfuse 42.493 unità di sangue, pari a circa diciassette milioni di litri.
L’83% del fabbisogno è andato all’azienda sociosanitaria Spedali Civili, numericamente la maggiore della nostra provincia. Nel dettaglio, di questo 83% il 23% è stato usato nei reparti chirurgici e il 77% in quelli medici, in particolare in oncoematologia (41%). Al secondo posto per unità trasfuse troviamo la Poliambulanza (5.196 unità e ciascuna è composta da 400 cc di sangue) seguita, in proporzione, dalle altre realtà di città e provincia perché, lo ricordiamo, tutto il sangue donato viene lavorato in tempi brevissimi al Civile, sede del Dipartimento di Medicina trasfusionale e Ematologia della Provincia di Brescia, poi indirizzato alle varie realtà in base al fabbisogno.
Un altro esempio, oltre a quello di Paolo, malato di leucemia, serve per avere un’idea di quanto sia importante ogni gesto di donazione di sangue. Una persona che ha un incidente, di media gravità ma che richiede un intervento e una trasfusione, richiede l’uso mediamente di quattro litri di sangue. Ancora, per un trapianto di fegato ne servono 40 unità, ovvero sedicimila litri.
Gli esami preliminari
«Oggi il tema non è più tanto quello della sicurezza del sangue donato perché ad ogni trasfusione il donatore viene sottoposto ad una serie di esami atti a scongiurare qualsiasi sospetto di malattia - spiega Almici, direttore del Servizio immunotrasfusionale dell’Asst Spedali Civili di Brescia - quanto quello di ottenere i risultati migliori per chi riceve la trasfusione. Per questo, adottiamo una strategia multidisciplinare e multimodale che mette al centro la salute e la sicurezza del paziente e migliora i risultati clinici basandosi sulla risorsa sangue dei pazienti stessi. Questo approccio riduce in modo significativo l’utilizzo dei prodotti del sangue, affrontando tutti i fattori di rischio trasfusionale modificabili ancor prima che sia necessario prendere in considerazione il ricorso alla terapia trasfusionale stessa».
Conclude: «La premessa di una trasfusione evitabile consiste nell’attenta valutazione di rischi, benefici e possibili alternative che hanno determinato la decisione di trasfondere. Ogni trasfusione deve essere sempre il risultato di una scelta clinica indipendente i cui i benefici attesi superino i rischi correlati. Ad esempio, se un paziente è anemico e la sua operazione è programmata, rinviarla significa aumentare la soglia di sicurezza per il paziente».
La prima trasfusione a Brescia
La prima trasfusione di sangue a Brescia è avvenuta 110 anni fa, esattamente il 3 giugno 1913. All’Ospedale dei Bambini «Umberto I» il chirurgo Giovanni Artemio Magrassi effettua una trasfusione di sangue da braccio a braccio, dal donatore al ricevente. Il donatore, il bambino Angelo Frosio, viene festeggiato come eroe dai quotidiani locali e nazionali. Il ricevente è un bambino di tre anni, in gravissime condizioni di anemia acuta per emorragia causata da una ferita al labbro inferiore. «Un esito assolutamente ammirevole dell’operazione», scriveva il 22 luglio 1913 il direttore dell’Ospedale dei Bambini Umberto I ove ebbe luogo la trasfusione, «dovuto all’animo tranquillo da parte del soggetto donatore». Ad assistere il dottor Magrassi vi sono i collaboratori dottor Gaffurro e dottor Farina, e due infermiere della Croce Rossa, le nobili Lia Bisogni ed Elisa Seccamani Bronzetti.
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