Missione russa, l’autista bresciano: «Dopo pranzo erano liberi»

Moretti: «In molti ci siamo chiesti: cosa ci fa qui l’esercito russo? C’era già il nostro...»
I mezzi utilizzati dall'esercito russo nel 2020 - Foto © www.giornaledibrescia.it
I mezzi utilizzati dall'esercito russo nel 2020 - Foto © www.giornaledibrescia.it
AA

Cesarino Moretti, 72 anni, è uno degli autisti che in quei giorni metteva la sveglia tra le 5.45 in punto per partire da Mompiano in direzione Bergamo. La sua missione: da volontario del gruppo alpini, fare da autista al contingente di militari russi «di casa» prima a Bergamo e poi a Brescia. «Io guidavo uno dei due pullmini messi a disposizione per accompagnare i russi nelle Rsa: il mio compito era quello di andare a prenderli al mattino in hotel - racconta -: la prima tappa la si faceva sempre al campo base, perché lì erano posteggiati i loro mezzi e le loro attrezzature. Poi, si partiva verso i paesi decisi il giorno precedente».

Ventiquattro ore prima delle operazioni di sanificazione, infatti, gli Alpini e la Protezione civile eseguivano il sopralluogo. «I russi, però, sapevano già esattamente dove eravamo diretti perché si coordinavano direttamente con il nostro esercito». La sequenza dei mezzi era sempre la stessa: «In sostanza si creava una colonna: i carabinieri facevano da apripista, poi c’era un’auto civetta, le due jeep del nostro esercito, i loro camion con le autobotti, i carrelli e l’impiantistica necessaria per la sanificazione e, in coda a chiudere, i nostri due pullman che trasportavano rispettivamente otto militari». Una volta raggiunta la struttura la squadra italiana e quella del Cremlino si dividevano: «Un gruppo si occupava dell’interno e un altro dell’esterno oppure, se la Rsa era di grandi dimensioni, si dividevano per zone o per piani». Cesarino Moretti, nel frattempo, stava vicino al pullman ad aspettarli.

«Quando li ho scortati io, le attività sono sempre terminate verso l’ora di pranzo: spesso si mangiava qualcosa insieme grazie alla generosità delle varie sezioni locali degli alpini». Di aneddoti Moretti non ne ha però molti da raccontare: «Erano tutti molto seri e riservati come del resto gli uomini dell’esercito sono. Per una settimana ho trasportato i militari della troupe televisiva: anche loro entravano nelle Rsa e filmavano qualsiasi cosa, tutte le operazioni in corso venivano registrate. Con me - ricorda - c’erano solo uomini e tutti giovani: dai 23 ai trent’anni al massimo. Dopo il pranzo li riaccompagnavo al campo base, dove scaricavano le attrezzature, quindi li riportavo in hotel. Loro poi erano liberi...».

L’attrezzatura contenuta in container a bordo di camion, parcheggiati a Bergamo davanti all’hotel che ospitava i soldati di Mosca, dove si potevano analizzare i campioni e trasmettere via satellite le informazioni attraverso canali criptati, Moretti non l’ha mai notata. L’accesso al laboratorio, del resto, è stato vietato al personale italiano: è stato utilizzato solo dai militari russi, tra i quali c’erano scienziati di alto livello, epidemiologi e ricercatori esperti in vaccini.

«La comunicazione che sarebbero partiti prima del previsto - conferma l’autista volontario - è arrivata quasi all’improvviso, se non proprio da un giorno all’altro al massimo un paio di giorni prima. Certo è che, in quelle settimane, in molti ci siamo chiesti più volte "cosa ci fa qui l’esercito russo? Ci sono già qui i nostri di militari... Non c’era davvero nessuno in Lombardia che potesse sanificare con l’alcool?"».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato