Caffaro Brescia, sequestro revocato: «Smentiremo le accuse»

C'è l'accordo tra Procura, ministero e società. I legali dell'azienda: «Paghiamo, ma non abbiamo inquinato»
La cittadella industriale di via Nullo, epicentro del Sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro - Foto © www.giornaledibrescia.it
La cittadella industriale di via Nullo, epicentro del Sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro - Foto © www.giornaledibrescia.it
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La data che scandirà l’inizio del processo ancora non c’è. Ma la situazione è tutto fuorché immobile: c’è l’accordo raggiunto tra società, Ministero e Procura e c’è anche, proprio sulla scia di quell’intesa, la revoca dei sequestri e delle misure interdittive a carico dei vertici della ditta. Due passi importanti che possono portare un po’ di pace nella cittadella industriale della Caffaro incastrata in pieno centro urbano, alla porta ovest della città, tra le vie Milano, Nullo e Morosini dove ormai non si produce più, ma dove resta l’epicentro del Sito di interesse nazionale, un’area tenuta sotto controllo dai tredici lavoratori che vegliano e mantengono attiva la diga anti-veleni.

A parlare della chiave di volta della vicenda, per la prima volta dopo il sequestro del 9 febbraio che ha fatto ri-detonare il caso, sono i legali di Caffaro Brescia, che spiegano i contorni e il valore dell’accordo raggiunto. La società guidata da Antonio Todisco, infatti, si è impegnata a realizzare gli interventi necessari per rimettere in sesto la barriera idraulica, una mossa che farà sborsare a Caffaro Brescia dai 3 ai 4 milioni di euro. Segno che, finalmente, si applica il principio «chi inquina paga» come hanno sottolineato fonti della Procura?

«Niente affatto - ribatte il team legale che, sul fronte penale, è rappresentato dagli avvocati Danilo Cilia e Massimo Martini -. Non è assolutamente questa la chiave di lettura giusta: non paghiamo perché abbiamo inquinato, questo accordo non ha alcun legame con la colpevolezza. Abbiamo ritenuto che i tempi fossero maturi per questo impegno, che fosse giusto fare questo gesto per la città e farsi carico di questi oneri: eravamo incastrati in un cono di bottiglia, questo atto poteva fare uscire tutti gli attori da un’impasse dannosa».

Gli avvocati sono risoluti: la vicenda giudiziaria penale è ancora nella fase preliminare e la difesa ci sarà, forte e chiara. «Caffaro Brescia risulta coinvolta perché è l’ultimo dei soggetti rimasto solvibile: ci aspettiamo che la Procura, con la quale c’è stato un rapporto di profonda lealtà e collaborazione, formuli la richiesta di rinvio a giudizio che affronteremo con serenità. Intanto il risultato della revoca dei sequestri e delle misure interdittive è importantissimo».

Forze dell'ordine dentro la Caffaro il giorno del sequestro del 9 febbraio 2021
Forze dell'ordine dentro la Caffaro il giorno del sequestro del 9 febbraio 2021

Ma la strada che Caffaro Brescia intende seguire è quella di respingere al mittente le accuse che vedono correlazione tra l’attività e l’inquinamento riscontrato dai dati dell’Arpa. «Abbiamo evidenze tecniche in grado di sovvertire e contestare quelle attività investigative. I nostri consulenti ci hanno fornito argomenti solidi: si deve studiare, ad esempio, la composizione chimica del terreno, bisogna datare le sostanze rinvenute. Tutte attività che sono incompatibili con i tempi e la fase delle indagini preliminari. I nostri consulenti contestano insomma le conclusioni a cui è arrivata l’Arpa, e quindi anche quelle investigative, sia sul versante del cromo esavalente sia su quello dei Pcb. Abbiamo evidenze tali da poter ribattere colpo su colpo agli elementi indiziari» sottolineano gli avvocati Cilia e Martini. Che non escludono la possibilità di rivalersi in futuro, anche chiamando in causa il commissario liquidatore della vecchia azienda: «Caffaro Brescia sta pagando senza avere inquinato: è evidente che se il processo penale restituirà delle responsabilità diverse, sarà intrapresa un’azione».

Cisterne con segni di erosione dentro la Caffaro
Cisterne con segni di erosione dentro la Caffaro

Perché, però, non intervenire prima sulla barriera e attendere il sequestro dell’area visto che l’Arpa aveva denunciato i primi problemi nel 2014? L’avvocato Cilia risponde senza esitare: «Perché non c’era alcun atto ufficiale: il primo atto formale è stato quello del 2019», ovvero la sospensione dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) da parte della Provincia, mossa che ha portato a fermare i macchinari per la prima volta. «Vorrei sottolineare - prosegue il legale - che prima del sequestro di febbraio sono stati archiviati tutti gli altri diversi atti penali. Se davvero dal 2014 c’era questa emergenza, perché allora le autorità non sono intervenute prima? Credo che se ci fosse stato davvero allarme lo avrebbero fatto». Proprio nel 2019 il gruppo guidato da Todisco aveva impugnato davanti al Tar la revoca dell’Aia, annunciando la richiesta di danni. A che punto è quell’iter? «In questo momento - puntualizzano gli avvocati - tutti i ricorsi sono congelati. In parallelo al penale ci sono infatti varie contestazioni civili amministrative sia con la Provincia sia con il Ministero, ma tutto rientra nel perimetro dell’accordo raggiunto: le controversie potrebbero risolversi a cascata sulla scia di questa prima pietra che è stata posata e grazie alla grande collaborazione».

L’intesa fa tirare un sospiro di sollievo anche ai tredici dipendenti rimasti in servizio: finché Caffaro Brescia sarà impegnata nei lavori di realizzazione della barriera idraulica, infatti, il posto di lavoro è garantito. Tradotto in concreto: l’impegno punta a concludere gli interventi all’inizio del 2023 e fino ad allora a mantenere in funzione i pozzi sarà sempre l’azienda con i suoi operai a presidiare il sito. E dopo? «Finita questa fase, è già previsto un passaggio di consegne».

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