Gli Anni 80 a Brescia tra calo demografico e nascita dell’Università

Gli anni Ottanta sono associati nella memoria collettiva ad un’immagine un po’ stereotipata di decennio «felix», con il mito della «Milano da bere» a emblema e sintesi imperfetta di una complessità ben più sfaccettata. In realtà, prima del 1984, anno in cui effettivamente l’economia nazionale e locale conobbe uno slancio considerevole, si susseguirono stagioni molto delicate per il sistema industriale, segnato da un brusco rallentamento della produzione e da conseguenti tensioni sociali, alle quali non fu estranea neppure Brescia. Anzi.
Frenata e disoccupazione
Riprova ne viene dalle pagine del GdB del quinquennio 1980-84. Già dai primi mesi del 1980 Aib lancia l’allarme. Il 14 giugno (45 anni fa quasi esatti) l’allora presidente Luigi Lucchini inquadra la preoccupante tendenza: «Dopo un 1979 ottimo, è venuto il calo pauroso del 1980» titola il servizio a firma di Angelo Franceschetti, futuro vice direttore, alla vigilia dell’assemblea annuale. Accanto al «calo enorme della domanda per cui in diversi settori si va verso l’esaurimento degli ordini» si sono indurite anche le relazioni industriali, con le forti proteste sindacali che, per il comparto metalmeccanico, culmineranno nella clamorosa iniziativa della Flm del 12 maggio ’83: il blocco della partenza del Giro d’Italia da piazza Loggia.
Cartina al tornasole del periodo di magra è il dato occupazionale: nell’analisi congiunturale luglio-settembre 1981 della Camera di Commercio, di cui il quotidiano scrive il 24 ottobre, si registra un aumento della disoccupazione a livello provinciale che tocca il 5,3%, con una perdita di 19mila addetti tra aprile e luglio nel solo comparto industriale. Tiene il turismo che perde «solo» il 9% del fatturato. Sullo sfondo si intravedono gli effetti della crisi energetica seguita a rivoluzione di Teheran del 1979 e tensioni Iran-Usa: sinistre le analogie con la crisi odierna.
La ripresa arriverà dal 1984, come detto, anno in cui peraltro lo stesso Lucchini sarà eletto alla guida di Confindustria nazionale. «Slancio premiato» titolerà il suo fondo Gian Battista Lanzani, da pochi mesi direttore della testata, in cui evidenzia come «non è priva di significato per Brescia l’elezione di un imprenditore bresciano alla presidenza di Confindustria: una sorta di riconoscimento a livello nazionale di quanto l’imprenditoria di casa nostra, nelle sue molteplici componenti, ha saputo fare dalla ricostruzione postbellica ad oggi».
Nasce la Statale
Il sistema economico bresciano pare d’altro canto lungimirante, a dispetto delle difficoltà del periodo, e nel ’82 conosce il coronamento di un impegno che risale agli Anni ’60: quello per dotarsi di un proprio ateneo. Come ricorda Bruno Boni, allora presidente dell’Eulo (l’ente che ha promosso la nascita dell’Università degli Studi) «la nostra società, essenzialmente industriale, abbisognava di ingegneri e di servizi terziari offerti dai dottori commercialisti. Inoltre l’esistenza di uno dei più grandi ospedali d’Italia favoriva, naturalmente, il sorgere delle Facoltà di medicina».
Importanti le dotazioni, economiche per una struttura che conta già – in regime di convenzione con gli atenei di Parma e Milano – poco meno di seimila iscritti attrezzature e sedi per un valore di circa 40 miliardi di lire (come riepiloga nel suo servizio un giovane Fausto Lorenzi, futuro critico d’arte del quotidiano). Il sigillo dell’operazione che rese Brescia città universitaria – forte anche della sede della Cattolica nata nel 1965 – arriverà con i primi sette laureati, tutti medici, proclamati l’11 luglio 1983.

Il calo demografico
Il paradosso del quinquennio, in cui Brescia garantisce al proprio tessuto economico una agenzia formativa tanto rilevante come un ateneo, sta nella flessione della natalità che si fa sempre più evidente. Una tendenza, d’altro canto, comprensibile in un periodo in cui il calo della produzione industriale rende lo spettro della disoccupazione incombente sulla provincia. «A Brescia, come in tutta la Lombardia, calano le famiglie con più di due figli» titola in cronaca il GdB l’11 maggio 1984. La fotografia del Servizio Statistica della Regione Lombardia immortala impietosa un calo dei nuclei più numerosi, scesi in un decennio dal 25,6% al 16%. L’indice di vecchiaia? Lievitato dal 46,1% del 1971 al 64,3% del 1981.
Traffico, dal caos al ring
A non conoscere flessione di sorta, anzi, a lievitare senza freni è invece il livello di motorizzazione del Bresciano. E a forza di dai, quello del traffico, specie in città, diviene un problema non più rinviabile. L’elevato numero di veicoli che ogni giorno si riversa nel capoluogo, con il pendolarismo di un hinterland lievitato rapidamente, satura le vie della Leonessa, ma rende addirittura invivibile il centro storico. Per questo la giunta – l’Amministrazione in carica è quella del sindaco Cesare Trebeschi – vara una serie di provvedimenti destinati a mutare radicalmente la viabilità del cuore antico di Brescia e di fatto a consegnarci un sistema di circolazione che nei suoi elementi cardine sopravvive ancora oggi: fra l’ottobre del 1980 e il marzo 1982 viene introdotto in tre atti il divieto di attraversamento del centro, con la pedonalizzazione di ampie porzioni dello stesso e l’adozione di quel sistema di circolazione sugli anelli esterni tutt’ora in uso.
É quello di ring e controring: l’asse via Ugoni/via dei Mille a ovest, via XX Settembre, via Spalto San Marco/viale Vittorio Emanuele II a sud, via Turati/Pusterla a est e via Leonardo da Vinci a nord. «Camelie in centro, caos in via Gramsci» titola in prima pagina il GdB il 12 marzo 1982, all’indomani del varo della pedonalizzazione del centro, con due foto che mostrano il contrasto fra un corso Zanardelli a misura d’uomo e una via Gramsci ingolfata di veicoli. «É nata l’isola pedonale» rincara la dose il servizio nelle pagine di cronaca, in cui la liberazione dai gas di scarico per il cuore nobile della città viene salutato con favore. E alla preoccupazione degli esercenti, col passare delle settimane, segue il progressivo apprezzamento generale, tributato pure nelle lettere al direttore, tra le quali il traffico spopola.

Ecco il Tornado
A proposito di motori, dalle strade ai cieli, in giorni segnati da tensioni e guerre, un cenno merita nel quinquennio una novità volatoria. All’aerobase di Ghedi va in pensione il vecchio «spillone», l’F-104, sostituito dall’allora nuovissimo Tornado. Il primo viene consegnato ai Diavoli Rossi il 27 agosto 1982, come racconta il GdB del 29. L’adozione del nuovo cacciabombardiere legherà anche le sorti della base bresciana alla Nato e alla mai ammessa ma pressoché certa presenza di ordigni nucleari.
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