Cultura

Coma_Cose, la nuova musica conquista il Vittoriale

Show piacevole e di buon impatto per un pubblico più giovane del consueto al Festival «Indiecativamente»
  • I Coma_Cose al Vittoriale
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AA

Si fa apprezzare la nuova musica italiana: al Vittoriale sono profeti in patria (considerate le origini salodiane di metà del duo) i Coma_Cose, protagonisti di uno show piacevole, di buon impatto.

La collaborazione tra «Tener-a-mente» e Latteria Molloy sfociata in «Indiecativamente» - speciale sezione dedicata alla musica indipendente - è partita ieri sera con il piede giusto, grazie al live che in prevendita ha fatto segnare il sold out più rapido della rassegna. Gli spettatori erano in buona parte più giovani del consueto, attirati da Fausto «Lama» Zanardelli e Francesca «California» Mesiano, che si sono fatti conoscere dal grande pubblico all’ultimo Sanremo senza tuttavia snaturarsi; e che ora raccolgono i frutti di un percorso in crescendo, offrendo a fan appassionati e curiosi un repertorio decisamente vario, che indulge maggiormente al rap e all’hip hop quando guarda indietro nel tempo, mentre prende direzioni urban e pop nella produzione più recente, dove aggiunge melodie avvolgenti alla ritmica battente.

Con i Mamakass (supporto integrante del sodalizio) a garantire potenza di suono, i Coma_Cose, vestiti con tute da lavoro, tengono bene il palco, occupandolo con leggerezza ma senza fronzoli. La contaminazione tra i generi è continua, da «Mille tempeste» a «Deserto», passando per «Jugoslavia» e il talking placidamente meneghino di «Via Gola», che trova spazio accanto a quelli assai più arrembanti di «La rabbia» o «Cannibalismo». Tematicamente, dentro le canzoni dei Coma_Cose c’è molto della Milano in cui si sono conosciuti (con le sue nevrosi, i suoi riti, le sue certezze) e un pizzico della provincia da cui provengono; la forma, invece, punta su giochi di parole, citazioni a getto continuo, associazioni mentali ora curiose, ora surreali (emblematica in tal senso «Anima lattina»), ora spiazzanti. In equilibrio tra ciò che ha un significato preciso da rendere noto e ciò che, semplicemente, suona bene.

«La canzone dei lupi» è carismatica, «Discoteche» sfodera sonorità trascinanti come anche, più avanti in scaletta, «Post concerto». La sanremese «Fiamme negli occhi» è invece interrotta a metà per problemi tecnici e, quando riprende, non raggiunge l’ovazione riservata alla dolce «Pakistan» (che rinvia a piene mani a De Gregori e Loretta Goggi) o a «Zombie al Carrefour», meraviglioso brano di formazione che, eseguito in acustico, ci è parso tra le vette dello show. Dopo «Squali», la conclusione è ancora nel segno di «Fiamme negli occhi» («una canzone che ci ha portato tanta fortuna», chiosa Fausto), stavolta solo voce e chitarra, con la platea a fare da coro: un abito scarno, per un finale spontaneo di intimità collettiva, ben riuscito.

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