«Sono vivo grazie a lei»: la santa Maria Troncatti e il miracolato Juwa

«Sono vivo grazie a santa Maria Troncatti». In prima fila, in aula Paolo VI, non poteva certo mancare: Juwa Juank Kankua Bosco, arrivato a Roma dall’Ecuador, è guarito in modo inspiegabile grazie all’intercessione della salesiana missionaria di Corteno Golgi.
Una guarigione che è diventata il miracolo ufficiale per la canonizzazione della religiosa, proclamata santa domenica da papa Leone XIV; settantamila persone hanno affollato piazza San Pietro e via della Conciliazione per la cerimonia che ha innalzato sette persone agli onori degli altari. Non certo casuale la scelta della Giornata missionaria mondiale, perché i santi, ha sottolineato papa Prevost, portano la luce della speranza nel mondo.
Il miracolato
Suor Troncatti quella luce abbagliante l’ha portata ogni giorno della sua esistenza. E anche dopo, come dimostra quanto accaduto a Juwa. Il cinquantenne sudamericano è arrivato nella Capitale con la moglie, il figlio e la cognata; è stata proprio quest’ultima a collocare sul letto dell’allora infermo Juwa l’immaginetta di suor Troncatti.
Di fronte alla reliquia preparata per la canonizzazione (ex corporis, una minuscola parte di un osso della suora) l’uomo si è emozionato: «Madrecita, Madrecita! Llegué!» («Madre cara, sono arrivato!»).
Dopo aver partecipato alla messa in piazza San Pietro, l’uomo era appunto in aula Paolo VI per l’udienza che il pontefice ha riservato ai devoti dei nuovi santi.
L’udienza
Per papa Prevost, suor Troncatti è un «esempio di carità e dedizione agli altri», «esempio di una carità che non si arrende nelle difficoltà, trasformandole piuttosto in occasioni per un dono gratuito e totale di sé».
Suor Troncatti era missionaria ed evangelizzatrice, ma anche infermiera e medica, pronta a partire anche nella notte a cavallo per portare aiuto. Si prendeva cura della popolazione Shuar, difendendola dai coloni. È proprio di etnia Shuar è Juwa. Il 2 febbraio 2015, mentre affilava attrezzi nella foresta amazzonica, è stato colpito violentemente sul lato destro del cranio da un grosso frammento di pietra che ha causato una profonda frattura con fuoriuscita di materia cerebrale.
I suoi familiari e la comunità della missione, nonostante la situazione apparentemente disperata, lo hanno subito affidato all’intercessione della missionaria, allora beata.
Tra la fine di marzo e l’inizio di aprile 2015 è avvenuto il miracolo che ha aperto la strada alla canonizzazione della suora camuna.
In un’intervista a una televisione sudamericana, l’uomo ha raccontato che la sua non è soltanto una guarigione fisica, ma anche spirituale: «Ora tutta la mia famiglia è felice, e così felice voglio morire».
La famiglia
A testimoniare la devozione a suor Troncatti anche i suoi parenti, alcuni arrivati dall’America, come Camilla Savardi e papà Angelo che vivono in Florida; in udienza anche lo zio Gianmario che vive sul Sebino. «Oltre al fatto di essere una sua pronipote – ci ha raccontato Camilla –, non si può non ammirare una donna così straordinaria».
Anni fa la giovane aveva fatto un’esperienza missionaria proprio in Ecuador. «Un giorno siamo andati in un villaggio tra le montagne – ha proseguito –, un posto così sperduto che non arrivava nemmeno la posta. La domenica andiamo a messa, in chiesa c’era l’immagine di suor Troncatti: per me è stata un’emozione incredibile».

Oltre a un folto gruppo di fedeli di Corteno Golgi, ieri all’udienza sono arrivati, per condividere la gioia dei «vicini», anche l’assessore del Comune di Aprica, Fulvio Ghisla, e il parroco don Giacomo Folini; la canonizzazione di suor Maria Troncatti ha unito ulteriormente le due comunità, che stanno già pensando a progetti futuri nel nome della santa figlia della montagna.
Con suor Troncatti i santi bresciani sono ora 48. Le loro, per usare le parole di papa Leone, sono vite «diventate straordinarie grazie all’amore di Dio che le ha animate e supportate nella dedizione verso i più fragili, nella difesa delle verità di fede, nella carità che non si arrende alle difficoltà».
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